Il canale blu scuro d’acqua sembra un colpo di pennello di un pittore impressionista che spezza in un punto preciso l’anello di colore turchese incredibilmente perfetto. Questa visione dall’alto mi risveglia immediatamente dal sonno di alcune ore, tormentato dalla posizione forzata dallo scomodo sedile. Dal finestrino intravedo un paradiso intervallato da nubi che ostruiscono la vista chiara di quello che rappresenta il paradiso di ogni amante del mare: le isole Maldive. Non posso ancora credere di essere qui, tra l’altro spesato completamente per lavoro!
Di sicuro i miei colleghi mi odieranno perché la scelta è ricaduta su di me. D’altronde non è stata una mia decisione, ovviamente, ma dettata dall’analisi attenda, da parte dell’ufficio, degli appuntamenti di tutti i miei colleghi e io risultavo quello meglio messo. Sorrido pensando alla telefonata ricevuta dal mio capo.
«Guarda, non ho parole per descriverti il colpo di culo che ti sta capitando»
Ed io, sospettoso: «A sì? E in che buio lago ghiacciato mi mandi questa volta?»
«Te ne vai alle Maldive, brutto schifoso! Parti fra una settimana. Controlla i voli e sappimi dire, ok ?»
«Contaci, Roby, grazie. Mi sa che gli altri ti salteranno addosso quando sapranno che hai mandato me. Controllo i voli e ti faccio sapere quanto prima.»
«Bene, non ti preoccupare, non potevano liberarsi e poi sono io che decido.»
Giorgio mi chiama e mi chiede se ci si vede al Sun Flower per un aperitivo.
«Certo!» rispondo. «Tanto sono in zona per delle commissioni.»
Salgo sulla moto e scendo respirando l’aria che dovrebbe essere più calda in questo periodo dell’anno. L’estate sembra proprio non voler iniziare. Entro in agenzia e mi siedo aspettando il mio turno. Ci sono solamente due persone davanti a me, ma le pratiche per l’acquisto di un biglietto del traghetto per la Sardegna e quello del treno per le Cinque Terre sembrano difficoltose. Com’è possibile che le agenzie diano ancora questo genere di servizi? Non dovrebbero essere acquistati direttamente online o alla biglietteria? Quanto odio aspettare! E’ una delle cose che meno sopporto! Francesca lo sa bene, parecchie volte mi sono alzato dal tavolo del ristorante dicendole:
«Basta, andiamo! Sono venti minuti che aspettiamo un antipasto!» Più tardi, affamato, mi pento sempre per la figura di merda che le ho fatto fare e per la cena saltata.
Arriva il mio turno.
«Vorrei un biglietto per Male per domenica prossima.»
«Vuole un pacchetto, allora» mi dice, guardandomi con sufficienza.
«No, solo il volo, vado per lavoro» le rispondo compiaciuto.
La ragazza mi spiega, come speravo, che se il tempo di permanenza è inferiore ad una settimana il costo del volo sarà salato.
“ Perfetto” penso, astuto e sornione mentre il diabolico piano si sta delineando chiaramente nella mia mente.
«Dammi un secondo» le dico.
Invio un email a Roby con il mio nuovo Black Berry, mentendo spudoratamente e dicendogli che il volo costa quasi la metà se preso per un’intera settimana. Poco dopo mi risponde che sono una merda, ma che va bene. L’ufficio mi pagherà una settimana, a patto che riesca ad ottenere un buon prezzo per la permanenza nel resort a cinque stelle contattando il Direttore di Corso che ha organizzato la data d’esame. Acquisto il biglietto pensando che in qualche modo farò.
Giorgio mi chiama: «Dove sei? E’ mezz’ora che ti aspetto al Sun Flower, ti muovi? »
«Arrivo! Sono in agenzia, vado alle Maldive per lavoro e mi sono appena comperato il biglietto.»
La sua risposta, semplice ma esauriente: «Che pezzo di merda!»
Sono felice per questa inaspettata sorpresa, soprattutto quando sul Black Berry mi arriva l’email di Sendi ,il Course Director maldiviano, che mi dice che è riuscito a contrattare la mia permanenza nel resort per quarantuno dollari al giorno, pasti ed immersioni comprese.
«Non è niente! Grazie Sendi! Non ti conosco ancora ma sei un grande!»
17/05/2009 – Milano – Male ( Maldive )
La mattina mi sveglio ancora incredulo del fatto che stasera partirò per Ari Sud. Ho un leggero mal di testa dovuto probabilmente al vino bevuto ieri al compleanno di Mattia, staff del centro sub dove collaboro vicino a casa mia. E’ stata una cena lunga, troppo e con troppo vino. Guardo fuori, è una giornata splendida ed il mare è piatto. La valigia vuota è aperta per terra e mi ricorda l’incombenza. Non ho voglia di stare in casa, così decido di andare a provare la mia nuova muta da triathlon che mi ha regalato un troppo buono Miles, proprietario del Centro Sub European Dive Center di Santa Margherita Ligure. Gli avevo chiesto di potermela acquistare direttamente in azienda e lui, gentilissimo, l’ha pagata e me l’ha regalata.
«Mi offrirai un aperitivo» mi dice quando me la dà ed io, sbirciando la fattura, scopro che l’ha pagata pure caruccia.
«Grazie Miles, ma non devi, veramente. Dimmi quanto ti devo»
«Non c’è problema, te l’ho detto. Poi mi dici come va, magari mi metto a nuotare anch’io in mare.»
Adoro il suo accento inglese e, soprattutto, la sua pacatezza ed il sorriso sempre pronto.
«Grazie, a buon rendere allora. Però voglio nuotare con te quanto prima, promettimelo! E poi ci si vede stasera per l’aperitivo alle sette, ok?»
Eccola, è bellissima e lucida, per poter scivolare meglio in acqua. La tolgo dalla plastica e la infilo in borsa insieme agli occhialini ed ad un asciugamano. Chiamo Francy e le chiedo se finalmente è pronta o se devo aspettare ancora un’ora. Irritata, mi risponde che sono dieci minuti che le ho detto che volevo andassimo a nuotare e di piantarla di rompere le scatole.
“Ha ragione” penso, quindi scendo, accendo lo scooter e decido di aspettarla in strada.
Il sole, caldo per la prima volta quest’anno, fa presagire l’arrivo della stagione estiva tanto aspettata . Francesca arriva e partiamo in direzione Paraggi, per sfruttare la linea di boe che chiede la baia e che rende il posto perfetto per nuotare. Mentre guido il profumo degli alberi di eucalipto mi riempie i polmoni e mi fa sentire vivo. I muscoli capiscono che fra poco li farò lavorare sodo e già sento l’adrenalina iniettarsi nel mio sistema.
La baia è stupenda, è larga più o meno trecentocinquanta metri e stabilisco mentalmente che se ci metto più di cinque minuti sono veramente un rottame. Mi infilo la muta attillatissima, che quasi non mi fa respirare. Quando entro in acqua la sensazione di costrizione cambia e noto che la struttura esterna lucida della muta mi aiuta molto nella fase di scivolamento in acqua. Inizio lentamente a scaldarmi con qualche esercizio e poi comincio a nuotare seriamente, rimanendo, per fortuna, ben al di sotto del tempo da schiappa che avevo stabilito prima di entrare.
E’ pieno di meduse urticanti, fortunatamente c’è la mia nuova muta che mi protegge. Quando finisco sono colto da una fame pazzesca. Mi ricordo che non ho fatto colazione e sono le undici. Arrivo in focacceria e mi sbrano una meravigliosa focaccia al formaggio, appena uscita dal forno, una focaccia alle cipolle, il cui profumo si sentiva a cinquecento metri dalla focacceria, e una pizza tonda. Non felice, quando arriverò a casa mi riempirò definitivamente con un insalatina mista ed una mega macedonia.
La valigia vuota mi guarda e mi dice: «C’è ancora mezz’ora prima che tu debba partire, mi vuoi riempire o no?»
Vorrei avere qualcuno che la riempisse per me. Non so mai che cosa mettere e, dopo anni di viaggi e continui spostamenti, mi ritrovo sempre in giro con un sacco di roba che non uso. Ma quanto mi ci vorrà per imparare finalmente a portarmi le cose giuste? Probabilmente non raggiungerò mai questo nirvana, quindi meglio non pensarci e buttare dentro qualcosa alla bell’e meglio. Prendo una grande decisione, mi porterò la videocamera acquistata all’aeroporto di Male in occasione dello scorso viaggio e mai usata. Antonello, il mio amico che vive da anni in un isola maldiviana gestendo un centro immersioni, mi ha detto:
«Fratello mio, lì c’è il balena quasi sicuro!»
Mi immagino che senza prove non mi crederebbe mai nessuno, quindi inizio ad preparare i mille cavi, caricatori e accessori che rendono anche la più piccola delle telecamere un affare di almeno dieci chili. Alé! Parto, con grande anticipo, ma impaurito dal fatto che è domenica, c’è il rientro e non voglio certo rimanere bloccato. Decido di allungare e di prendere la Gravellona-Toce per evitare problemi, ma dopo tre chilometri sono già bloccato in coda. Si scorre, lenti, ma si scorre. Dopo Bolzaneto faccio una serie di scelte incredibili. Prendo la Gravellona in direzione sbagliata. Esco ad Ovada, dopo che il Tom Tom mi ha chiesto se sono un cretino. Riprendo la Piacenza. Esasperato, mando a cagare tutti i miei piani e vado verso la tangenziale di Milano, incrociando tutte le dita che ho. Il tutto, ovviamente, con mente lucidissima, il che mi fa dubitare sui benefici del salutismo selvaggio. Arrivo in orario, ma per fortuna ero partito con buon anticipo e lascio la macchina al parcheggio. Raggiungo il check-in ed insceno la solita triste storiella napoletana dello zoppo. Consiste nell’arrivare zoppicando vistosamente al banco di accettazione, con email comprovante la richiesta di un posto in uscita di emergenza a causa dell’impossibilità di stare con la gamba piegata per lungo tempo.
«Mi hanno fatto i crociati del ginocchio» dico con aria sofferente e triste.
Molto dubbiosa, la ragazza mi assegna un posto con due poltrone libere in fianco, dato che le uscite di sicurezza costano trentacinque euro.
«Grazie per la comprensione» aggiungo, allontanandomi zoppicando.
Come è giusto che sia, farò la mia bella figura di merda quando la incontrerò nuovamente al gate mentre corro perché in ritardo per l’imbarco. Sono ridicolo e mi faccio pietà, ma il trucco funziona sovente e mi sa che lo faccio anche al ritorno. Prima di imbarcarmi riesco comunque a buttarmi giù un altro pezzo di pizza ed un panino “bufalino” con spremuta d’arancia. Ma come faccio? Si parte, e sfruttando i due posti liberi al mio fianco, mi sdraio alla grande con la mia pila di giornali e libri per il viaggio. Una delle hostess mi ricorda la mia amica amorevolmente soprannominata Rcoj, rompicojoni, ha l’accento veneto come lei e sorride alla richiesta di due bicchieri di vino rosso . Infrango, quindi, la promessa che mi ero fatto di non bere per una settimana per ingannare il dottore con analisi del sangue cristalline. Inizierò da domani. Dallo schermo noto che stiamo sorvolando il Kossovo e penso a Marina, una mia amica che sta lì da un anno in missione con l’esercito. Tutti hanno parole di disprezzo nei suoi confronti, a me, invece, è simpatica e spesso chiacchieriamo con Skype, tramite il quale le chiedo continuamente di descrivermi cosa vede e come svolge i suoi compiti. Anche se all’inizio è una rottura mi piace scrivere sulla Moleskine che mi hanno regalato che, ad ogni pagina scritta, assume maggiore importanza e prestigio. Ebbro e sereno mi addormento pensando che l’Eurofly non è affatto male come m’immaginavo, soprattutto per il prezzo che ho pagato.
18/05/2009 – Maldive Male Airport – Nalaguraidhoo Island
La veneta mi sveglia per la colazione, tristissima! Una brioche confezionata alla marmellata, che non hanno nemmeno il coraggio di darti al bar della stazione. Caffè liofilizzato, che mi fa tornare in mente le barche da subacquea egiziane sulle quali ho passato sette anni della mia vita, dove l’unica bevanda che assomigliava al caffè assomigliava a questa brodaglia schifosa. Atterriamo in perfetto orario e, mentre sbarchiamo, siamo salutati dalle hostess che, dopo una notte di lavoro, sono come erano in partenza, sorridenti, rilassate e profumate. Ma come fanno?
In effetti lo sono anch’io, ho infatti l’abitudine nei voli notturni, di svegliarmi e bloccare la toilette per mezz’ora, facendo incazzare la fila di gente che aspetta per poter espletare l’impellente bisogno accresciutosi nella notte. Con calma ed armato del mio beauty inizio a radermi, lavarmi le ascelle, mettermi il deodorante, cremina emolliente après-rasage, lenti a contatto. Una lavatina ai denti ed esco fresco come una rosa, con magliettina cambiata di fresco. Perché rinunciare ai piccoli piaceri? Esco dall’aeroporto di Male e mi incontro con il ragazzo del resort, che ha già fatto il biglietto aereo per l’idrovolante che mi porterà a Sun Island. Annuso l’aria colma di umidità e odori penetranti. Che bello essere fuori dall’Europa! I miei sensi vanno alla ricerca di nuovi e sconosciuti stimoli. Passeggio, aspettando l’ora d’imbarco e decido di farmi una scheda Sim locale per poter rimanere in contatto con il mondo a prezzi ragionevoli. Mi innamoro subito della ragazza del banchetto promozionale Wataniya, la nuova compagnia telefonica maldiviana. Sorride, è timida, gentilissima, ha degli occhi neri e penetranti ed una dentatura bianchissima. Si offre di settarmi il telefono che dico di non saper configurare, per perdere tempo e continuare a gustarmi la sua presenza ed il suo profumo. Che schifoso galletto italiano che sono! Già solo la gentilezza ed il sorriso sono cose alle quali non sono abituato abitando nel golfo del Tigullio. Vengo portato con un piccolo bus al terminal due dove, come entro, mi prendono il biglietto e me lo stracciano sotto gli occhi.
«Il volo non c’è più, bisogna aspettare due ore.»
“ Ti pareva, tutto stava andando troppo bene per essere un viaggio all’estero”, penso.
Il mio volo parte e, dopo il suo decollo, mi spiegano che c’erano dei politici e che hanno dovuto dare il mio posto a loro. Per lo meno sono onesti e non ti raccontano un sacco di stronzate come quelli dell’Alitalia. Apro il laptop e scopro con stupore che c’è collegamento wireless gratuito in tutto il piccolissimo terminal. Pazzesco, dovremmo veramente imparare da questi, in Italia! Il terminal è carino, informale e dopo poco ci conosciamo tutti. Uno spagnolo mi chiede di sistemargli il computer subacqueo impostandolo per l’utilizzo ad aria, perché il commesso gli aveva fatto vedere come impostare il nitrox lasciandoglielo così. Il posto sembra un porto dove, al posto delle imbarcazioni, ci sono posteggiati gli idrovolanti. Dopo due ore mi imbarcano su un idrovolante. Sono eccitato perché è la prima volta che ci salgo. La visione dall’alto di questo spettacolare posto è incredibile e, sereno, scatto le prime fotografie del mio viaggio. Mi guardo intorno e, a giudicare del colore generale dell’epidermide, mi sa che Nalaguraidhoo Island è meta di inglesi e tedeschi. Non hanno nemmeno la pelle bianca, è così bianca che sembra azzurrognola. Chissà come saranno rosso fuoco domani. Va beh, chissenefrega, sono alle Maldive! Atterro dopo un magnifico volo panoramico sugli atolli e mi viene incontro Sendi. E’ piccolo, sorridente ed affabile. E’ in compagnia di Hussain, il manager del college dove si è tenuto l’addestramento per Istruttori, anche lui stragentile e allegro. Mi fanno, con mio stupore, affittare una bicicletta dato che l’isola, mi spiegano, è la più lunga delle Maldive dopo Male. Arriviamo al college, mi faccio una doccia ed incontro i ragazzi per l’Orientamento all’Esame.
La struttura è enorme e sulla spiaggia. Ci sono stanze per lo staff, un negozio ed un’infinità di aule. Nel centro troneggia un albero magnifico fiorito. Sono tre candidati locali ed un ragazzo tedesco che sembra perfettamente integrato con loro. Vedi che ci sono anche tedeschi in gamba? Rari, è vero, ma ci sono. Sono tutti allegri e tranquilli, un’atmosfera quasi irreale per un esame. Consegno gli assegnamenti che dovranno preparare e offro tutte le spiegazioni necessarie affinché capiscano ciò che faranno domani e dopodomani. Poi si va cena, il tipico buffet da villaggio, dove scopro una cosa incredibile: i tavoli vengono assegnati all’arrivo dei clienti, che non potranno mai più cambiarli per la durata della vacanza. Inoltre non si può invitare nessuno al proprio tavolo e lo staff mangia in tavoli rigorosamente separati. Pazzesco! Perché? Certo per chi ci lavora non dev’essere un grande ambiente, sono tutte coppie di panzoni tedeschi ed inglesi e, se mai dovesse giungere una ragazza carina e sola, ci sarebbe la guerra fra i milleduecento dipendenti che lavorano in questo resort. Tutto è ben tenuto, anche in modo irreale. C’è un campo da minigolf in erba in centro all’isola, dove ci lavorano almeno venti persone e dove, mi dicono, non si è mai visto nessuno giocare. Oltre al ristorante a buffet ci sono altri due ristoranti, uno italiano ed uno tailandese, dove si può mangiare anche non seguendo il rigido schema di assegnazione ai tavoli, ma i prezzi sono pazzeschi: una pasta alla carbonara diciotto dollari, ma sono matti? La serata finisce con la visita alla spiaggia sotto il college, dove ogni sera alle nove fanno lo “sting ray feeding”.
Arriviamo e ci sono già un mucchio di turisti che danno da mangiare a decine di trigoni. E’ incredibile come siano voraci e arrivino a spiaggiarsi per impossessarsi di un piccolo pezzo di pesce offerto loro. I turisti, a decine, firmano uno scarico di responsabilità per avere la possibilità di offrire loro degli avanzi di pesce e intanto approfittano per toccarli, accarezzarli e farsi fotografare dal compagno. Sembra impossibile che possano essere bestie pericolose. Rifletto sul fatto che, se fossi in loro, utilizzerei l’affilato pungiglione di cui è dotata la mia coda per colpire senza pietà i ciccioni bianchi. Finito lo show tutti a letto, ma non io. Prendo la mia bici e mi reco dall’altra parte dell’isola dove si trova un barettino sulla spiaggia, nella speranza che ci sia un po’ di movimento. Macché, nessuno, nulla. Il barista è strafelice di vedermi e mi offre pure un drink.
«Lo Sri Lanka!» urla emozionato.
Ed io: «Hanno ammazzato il capo delle Tigri Tamil, oggi.»
«Sì, sono felice! Oggi bella giornata, io offro drink.»
“Però! Grazie” penso, guardando il listino prezzi assurdo: Gin tonic, tredici dollari, manco al Carillon di Paraggi!
Il posto è l’ideale per scrivere, fa caldo, c’è vento, non c’è nessuno. Il barista sorride ed io non ho per niente sonno. Mi compero un pacco di Marlboro light e me ne accendo una, fumandola con un piacere immenso. Com’è diverso da come mi ero aspettato! Come sempre, d’altronde. Questo è il bello del viaggiare, stupirti, non sapere cosa aspettarti e ritrovarti in errore quando cerchi d’immaginarti il posto. Per questo non tornerei mai in un luogo visitato, probabilmente mi deluderebbe, perché con il luogo ti aspetti le stesse sensazioni della prima volta e questo è impossibile che avvenga. Finisco il mio Gin tonic, tanto posso iniziare domani a fare il sano. Non vedo l’ora di farmi un’immersione, magari con il balena!
Buonanotte e a domani.
19/05/2009 – Primo giorno d’esame
Mi sveglio a causa di un acquazzone fortissimo e mi ricordo che ieri Sendi scherzava dicendo che l’esaminatore aveva portato il cielo oscuro con lampi e tuoni, mentre fino ad allora il tempo era stato fantastico. Colazione abbondante e via con gli esami scritti. Prima però decido di regolare i pagamenti e subito è un gran casino perché alcuni pagano in cash, una gran bella rottura e, fra questi, due in dollari, alcuni in euro e un altro addirittura in rupie!
«Non se ne parla ragazzi! – esclamo – euro o niente. Andate alla reception a farveli cambiare.»
Ci va una mezz’ora buona, ma ritornano con dollari e euro. Non c’è, sembra, altra possibilità.
Inizio l’esame e decido di concedere loro un po’ più di tempo, dato che non hanno materiale di studio nella loro lingua. Sono fantastici, dolci e gentili e, cosa alla quale non sono assolutamente abituato, non copiano. Guardo fuori e splende il sole. Voglio che finiscano presto perché non vedo l’ora di andare in acqua! Mi hanno già preso dolcemente per il culo tutti vedendo la mia semi-stagna da sette millimetri, che mi fa immaginare l’acqua piacevolmente calda. Consegnano e passano tutti senza problemi, ‘sti stronzi! Prima alzano la mano per farsi spiegare qualche parola d’inglese con occhi dolci che non ha nemmeno Ciro, il mio cane, quando cerca il cibo e poi ottengono percentuali di risposte corrette dell’ottantanove, novantaquattro, novantotto ed uno addirittura del cento per cento, cosa rarissima in Italia. Andiamo a pranzo e mollo tutta la robaccia del buffet per lanciarmi sul cibo maldiviano a base di curry e spezie. Da qui in poi avrò lo stomaco gonfio quasi tutto il giorno, con tutto ciò che ne segue. Sendi è basito per la scelta, ma soprattutto per la quantità che mi ingollo, manco fossi denutrito. Ammirando il mio coraggio mi mostra un peperoncino verde, che descrive come fortissimo, dicendomi che solo i locali riescono a mangiarlo. Da ariete fiero e coraggioso lo sfido, brucandoglielo direttamente dalle sue dita, mentre lui, esterrefatto, urla:
«No! You are crazy ! It is too hot!»
Ha ragione, è una bella legnata, ma soffrendo in silenzio come solo un originario del Granducato Bergamasco sa fare, faccio finta di nulla, impressionandolo enormemente. Lo dirà a tutti i Maldiviani che incontrerà nel pomeriggio, mostrandosi orgoglioso di essere mio amico. A volte basta poco, penso, perché di parlare non me la sento, senza alcuna sensazione dalla lingua e dal palato per le successive due ore. Entriamo in acqua per le acque libere e quelle confinate: è un brodo! Loro sono fantastici, veramente eccezionali. Hanno un acquaticità che da noi un Istruttore acquisisce dopo anni, se portato, e dimostrano di aver capito appieno il sistema. Sono quasi commosso nel vederli aggraziati e perfetti e annoto sulla lavagnetta una fila di cinque, cosa che non mi capitava da anni, da quando feci l’ultimo esame in Egitto a gente che lavorava in acqua da anni. Piccoli, magri, dolci, sorridenti e perfetti in acqua, roba da fare un video e farlo vedere ai candidati che esamino di solito. Rifletto sulla loro attitudine, sembra non abbiano il mito del machismo presente in tutte le società occidentali del mondo, arabi inclusi. A loro non serve dimostrare di essere più forti, belli o bravi di quello che sono, sono sereni e belli dentro. Che invidia ! Finito il tutto andiamo a cena e mi abbuffo. E’ stupendo pure il tavolo di russi al mio fianco, e non è poco. Alla fine ci avviamo verso casa, ovvero il college dove sono ospitato, per vedere il solito spettacolino di mangianza dei trigoni. Decido di prendere la telecamera scafandrata per filmarli, inserendola in acqua dalla spiaggia. Nemmeno con il grandangolo riesco a riprenderli, dato che arrivano troppo vicini. Incredibile, quasi me la mangiano! Vorrei far vedere la scena a chi dice che le bestiole sono mortalmente pericolose: qui quasi se le cavalcano! E’ vero anche che firmi un bello scaricone di responsabilità anche solo per avvicinarti.
Salgo in stanza e collego finalmente il pc ad internet tramite il wireless, di cui riesco a scoprire la password, e giuro che stasera non berrò nemmeno un goccio di alcool, cosa che non faccio da anni. Mi addormento con difficoltà a notte fonda, mentre ragiono sul fatto che domani col cavolo che non mi faccio un “drinkino” serale! Prima però penso alla pianificazione della prossima giornata d’esame. Dovrei finire tutto verso le 11, così alle 14:30 posso fare la mia prima immersione dalla barca con Sendi alla ricerca dello squalo balena. Tra l’altro, fiero di me, ha convinto il centro sub a farmi fare gratis tutte le immersioni che voglio, invece che pagarle cinquantotto dollari l’una. Lo adoro e domani gliene mangio tre di peperoncini!
Buonanotte.
20/05/2009 – Fine esame e prima immersione dalla barca
Finisco l’esame alle 10, un’ora in anticipo rispetto al programma. Anche nelle lezioni accademiche sono mostruosi e si beccano una sfilza di voti sopra il 4,8. Concludo con la cerimonia di chiusura, i consigli, le foto di gruppo. I ragazzi sono felicissimi ed è un momento emozionante, in modo particolare per me, consegnare questi diplomi che rappresentano un sacrificio economico enorme e cambieranno per sempre la loro vita. Un istruttore qui guadagna fino a millequattrocento dollari al mese e, per lo standard locale, è una cifra altissima. Che bello sentire tanta gioia intorno a me ed essere stato coinvolto in questo importante traguardo! Certo per Sendi questo lavoro deve avere un valore completamente diverso che per un Direttore di Corso nostrano, che addestra gente che lo fa solo per hobby, alla quale non cambierà la vita nemmeno di una virgola, se non il sentirsi importanti all’interno del loro circolo subacqueo. Questo, almeno, nella maggior parte dei casi. Pranziamo e ci prepariamo per l’immersione del pomeriggio. Sono pieno di speranza ed il fatto che Sendi venga con me mi riempie di gioia.
Parliamo di tante cose personali ed io gli chiedo se non stanno applicando una politica sbagliata nel mantenere i prezzi così alti. Mi spiega che vogliono una clientela di alto livello e che tutto è una catena: il governo affitta cara l’isola agli imprenditori, il tour operator prende il cinquanta per cento degli incassi, il management alza i prezzi e la percentuale che richiede al centro sub ed ai ristoranti e il centro sub taglieggia i clienti. Non si rendono conto che fra un po’ li si manda tutti a quel paese? Non si rendono conto di cosa sta succedendo nel mondo? Per me, gli spiego, il mito della clientela di alto livello è un’assurdità, dato che ce n’è sempre meno e poi il discorso fila se non lo fanno tutti.
Perché non danno la possibilità al backpaker di venire a Male, farsi portare su un’isola di Maldiviani dove ci sono guest-house, ristorantini e magari centri sub economici? Così si permetterebbe anche ai locali di avere un proprio business e non si toglierebbe nulla ai resort che non hanno, comunque, quella clientela.
«Hai ragione – mi dice – il regime dittatoriale che abbiamo avuto fino ad ora non ha voluto spartire con nessuno la ricchezza del turismo e solo poche grandi famiglie si sono arricchite. Inoltre ha mantenuto le isole abitate dai locali sottosviluppate e senza possibilità di aprire commerci, per la paura che potessero chiedere l’indipendenza ed obbligando tutti a lavorare per le grandi famiglie che hanno sempre appoggiato il presidente.»
Poi sorride mostrandomi tutti i denti bianchissimi che ha ed aggiunge entusiasta ed allegro: «Ma ora è tutto cambiato e per la prima volta abbiamo un sistema democratico.»
«Sono proprio felice che tu stia vivendo un momento storico così importante e spero che tutti ne possano beneficiare» commento, osservandolo con palpabile invidia.
Il nuovo presidente ha quarantatré anni ed è stato in carcere per quattordici anni a causa della sua attività di opposizione politica. E’ visto con grande rispetto e tutti sono eccitati dalla speranza di un cambiamento. Già, cambiamento….una parola sentita parecchio ultimamente nelle campagne elettorali in mezzo mondo.
“Mi sa che non sono gli unici a volerlo” penso, visualizzando l’immobilità socioculturinfrastrutturale di Santa Margherita Ligure, che è esattamente uguale a trent’ anni fa.
Balziamo in barca, dopo essermi registrato ed aver firmato gli scarichi di responsabilità, anche quello in cui affermo di avere un brevetto, dato che l’ho lasciato a casa. La barca si stacca dal pontile e, come sempre succede quando non la vedo più prigioniera delle cime legate alle bitte del pontile, un fremito di gioia ed un senso di libertà si impossessa di me. Sendi è titubante, il che mi fa capire che le possibilità di beccare il balena sono piuttosto remote. L’immersione è infatti piuttosto pietosa e non si vede nulla di che, ma sono in acqua calda e scivolo dando ampi colpi di pinna. La scafandratura non si allaga e mi rendo conto di non saperla proprio usare per niente. Avrei potuto almeno leggere qualche dispensa! Se non fosse stato per il senso di colpa di averla acquistata e mai usata, l’avrei probabilmente lasciata a casa. Torniamo relativamente delusi. Sendi ci avrebbe tenuto a mostrarmi il balena. Lo consolo dicendogli:
«Beh, non stiamo parlando di una cernia maculata tropicale, ma di una delle bestiole più difficili da vedere al mondo! In vita mia l’ho visto due volte e mi è pure andata bene. Ci mancava pure che al primo tuffo me lo trovassi davanti!»
Sorride e gli ritorna l’abituale allegria. Gli offro un gelato al bar della reception, innescando un casino incredibile. Sono stato registrato, ma non sono né uno dello staff che lavora nel resort, né un cliente normale. Inoltre ho una stanza all’interno del college, la seicentonovantasei, che non risulta presente nel loro sistema computerizzato. Dopo mezz’ora di telefonate non ci capiscono ancora niente e mi fanno firmare un foglietto di ricevuta timorosi e pieni di dubbi. Per tutta la mia permanenza qui seminerò il panico in tutti i bar ai quali mi rivolgerò, anche solo per acquistare una bottiglia d’acqua. Il trucco è farsi dare qualsiasi cosa, iniziare a berla e poi dire il numero della stanza. A quel punto la bevanda è nelle tue mani e nessuno te la può più togliere … ora sono cavoli tuoi!
Alle 21:30 ci ritroviamo dopo cena alla solita Sting Ray Feeding Point ed in un momento di noia Michael, il ragazzo tedesco che è appena diventato istruttore, mi dice che gli piacerebbe immergersi nel casino dei trigoni quando i turisti se ne vanno, ma ha paura. Grande idea, bravo Michael! Prego in ginocchio Sendi di farci entrare e lui, assolutamente serafico, ci dice:
«Ok, ma fate presto, perché quando se ne vanno i turisti, di lì a poco se ne vanno anche loro.»
Increduli ci fiondiamo in camera e nel centro per l’attrezzatura per prendere il necessario. Vestiti di tutto punto noto che Michael, che faceva fino ad un attimo fa il grande, inizia a farsi dubbioso.
«Sono davvero tanti e come saremo in acqua ci circonderanno pensando che abbiamo del cibo. Ci arriveranno addosso!»
“Che tenero”, penso, e con tutta la dolcezza di cui sono capace gli rispondo: «Che cosa vuoi che ti facciano? Che ti mangino? Pensi di assomigliare ad un pezzo di pesce morto?»
Lui mi fa notare che ci sono stati casi di incidenti mortali con i trigoni fra cui, ultimamente, quel deficiente australiano, Crocodile Man, che faceva i documentari andando a toccare ed infastidire anche le bestie più feroci. Eh già, ha ragione e poi perché ti farebbero firmare uno scarico di due pagine, se no? Per tagliare la testa al toro gli dico, sempre cercando parole dolci:
«Va beh, se te la fai sotto vado io. Certo è che, dato che hai avuto tu l’idea, faresti proprio una bella figura di merda!»
Si convince, basta trovare gli argomenti giusti, ed entriamo. Subito una decina di trigoni ci volano addosso ed in un attimo siamo circondati. Fantastico! Il problema è che sono troppo vicini ed ancora una volta è quasi impossibile filmarli. Maledico la luce video che fa davvero pietà e che butterò via immediatamente quando arriverò a casa. Dato che il video è difficile da realizzare, inizio ad accarezzarli. Non scappano ed anzi, sembrano apprezzare. Che bella interazione! Mi ricordo delle immersioni fatte in Argentina con le foche, erano così giocherellone che sembravano cuccioli di cane subacquei!
Cerco di avvicinarmi ai piccoli di squali pinna nera che affollano lo specchio d’acqua, ma fuggono e non si lasciano riprendere. Dopo una buona mezz’ora usciamo entusiasti e stanchi, per la forte corrente che ci ha costretto a pinneggiare di continuo, contrastandola. Che bello! Il video è inguardabile, ma quello che mi rimarrà dentro sarà indelebile nei miei ricordi, come molti altri in questa settimana. Doccino e poi tutti se ne vanno a nanna. Come ieri scappo e vado nel barettino senza nessuno dall’altra parte dell’isola a trovare il mio amico di Sri Lanka. E’ talmente isolato che non ha il computer, a differenza di tutti gli altri bar, ed è quindi l’unico che non impazzisce per il mio conto, anzi non gliene frega proprio niente.
«Non mi pagano da tre mesi» mi dice.
Sembra che il gran padrone dell’isola e di svariati altri resorts si sia presentato alle elezioni ed abbia speso una fortuna per la sua campagna elettorale, perdendo oltretutto. Ora, mazziato, tira la cinghia sullo stipendio dei dipendenti. Fortuna che non l’hanno votato. Oltre a me c’è un tedesco. Ordino da bere e saluto il mio amico che mi dice che ieri mi aspettava e che è rimasto solo tutta la notte. Allora gli offro una sigaretta, che si fuma di nascosto sotto il bancone mentre mi prepara un gin-tonic “speciale “ e perciò con doppio Gin.
Il tedesco sembra bello bevuto ed iniziamo a conversare. Fa molta fatica con l’inglese, ma aiutandolo riusciamo a capirci. Mi parla della sua famiglia, di suo figlio che è disoccupato a causa della crisi che sta colpendo duramente la Germania. Mi dice che viene qui due volte all’anno, a maggio e a novembre, per tre settimane con la moglie. Si sveglia alle cinque, va a nuotare, fa tai-chi e lavora in completo relax. Gli chiedo di cosa si occupa e mi risponde che è responsabile di zona, a Dusseldorf, per la Coca Cola. E’ ciarliero e simpatico e si fa consigliare dove andare in Thailandia per la prossima vacanza, dato che gli ho detto che mi era piaciuta molto. Ad un certo punto, tardi nella serata e dopo un’oretta di conversazione, mi dice che fra poco molla tutto, anche se non ha l’età della pensione, perché ha scoperto di avere un dono, quello di leggere negli occhi della gente i malesseri fisici. Ci sono persone in Germania a cui ha salvato la vita e altre, che sapendo del suo dono, lo vengono a trovare anche da lontano. Lui non ha mai chiesto soldi a nessuno perché sente che il dono gli è stato dato per aiutare il prossimo ed è per questo che continua a farsi il mazzo lavorando tredici ore al giorno come commerciale Coca Cola.
«Come?» gli chiedo.
E lui: «Vedo se stai male e se potresti morire tra qualche anno.»
“Oddio!”, penso e cerco, da quel momento, di non incrociare più il suo sguardo. Faccio di tutto, parlo con il barista, guardo il cellulare, osservo il cielo.
Sono uno scaramantico convinto dalla logica e, quindi della peggior specie. Il ragionamento segue la logica che far passare qualcun altro prima di te quando un gatto nero attraversa la strada è, probabilmente, una stronzata, ma lo è anche arrischiarsi inutilmente nel caso fosse vero. Vedendola in questo modo non ci sono le consuete scappatoie dello scaramantico normale, che può far appello alla possibilità che si tratti solo di credenze popolari senza fondamento.. Oltre a ciò, so di essere dannatamente ipocondriaco e questo spiega le reazioni che avrò fra poco.
Ad un certo punto mi dice: «Vieni con me sotto la luce.»
«Guarda, non mi impaurire, non voglio menate, sono in vacanza!»
«Non ti preoccupare, fammi solo osservare una cosa.»
Inizia a guardarmi gli occhi chiedendomi di guardare alternativamente a destra ed a sinistra. Nel frattempo mi afferra il braccio e mi tasta il gomito. Poi si allontana con uno sguardo di rassegnazione, mi da due colpi sulla spalla e rimane in silenzio.
«Beh, cosa c’è? Non mi dici nulla?»
Mi guarda e, toccando i miei gomiti, mi dice: «Ti fa male qui?»
«Sì, ho l’epicondilite da un anno» rispondo.
«E qui?» continua, toccandomi la spalla sinistra.
«Sì, cazzo! Sindrome da conflitto per poco allenamento dei rotatori della cuffia.»
«Ah sì?» dice lui, che mi rivela di essere un ex nuotatore.
«E perché dall’ altra parte non l’hai?»
«Ma che ne so, magari sforzo di più da questa, o magari la mia tecnica è imperfetta e non nuoto simmetrico. Anzi, sicuramente è così.»
«Hai tolto dei denti ultimamente o hai fatto importanti lavori in bocca?»
mi chiede e io inizio ad inquietarmi incontrollatamente, annuendo. Lui mi tocca la pancia e mi prende dietro al collo con una mano. Chiude gli occhi e inspira profondamente e poi se ne va ancora al suo posto con il solito sguardo inquisitorio.
«Dì, ma mi dici che cosa c’è? Allora!?»
Prende la mia Moleskine ed inizia forsennatamente a scrivere. Annota una serie di medicinali con specifiche sui grammi delle pastiglie. Alla fine, vedendo che la mia preoccupazione iniziale sta trasformandosi in aggressività, mi spiega.
«Sei intossicato. Tutto deriva dal lavoro del dentista, non quello fatto ultimamente, ma prima. L’infezione che ti si è sviluppata in bocca tempo fa ha infettato il tuo corpo ed il tuo fegato, ed ora hai una colite cronica che il tuo fegato cerca di combattere senza riuscirci. E’ una forma di intossicazione lenta, ma continua. Non ti dà grandi fastidi, ma una serie di malesseri che tendi, come è logico, a sottovalutare. Fra un po’ il tuo fegato non riuscirà più a far fronte alla situazione ed inizierà a deperire e così farai tu.»
Sbianco e sto male. Mi spiega che mi devo disintossicare velocemente e descrive nel dettaglio ciò che dovrei prendere per farlo. Clorella, zinco, vitamina C a botte di mille milligrammi al giorno ed un complesso di vitamina B6 e B12. Rimango immobile ad ascoltarlo. Immobile, incapace di pensare, di reagire. Mi accorgo di essere in panico, di non riuscire a controllarmi. Una paura impressionante si impossessa di me, come avessi ingerito una radice velenosa, paralizzante.
E’ un momento che dura svariati minuti e che sembra lunghissimo. Sudo, sudo freddo ed ho i brividi. Il mio amico di Sri Lanka si accorge che non sto bene e cerca di scherzare, offrendomi un’ aggiunta di gin al mio drink. Poi mi urla ad alta voce:
«Ehi, tutto ok?»
Come se mi fosse stata data una sberla, mi sveglio bruscamente ed il mio corpo riprende sensibilità. Sento le dita dei piedi e delle mani formicolare e la maglietta fradicia di sudore. Afferro il bicchiere, ormai pieno solo di gin, e ne bevo un sorso pieno. Sto meglio, mi sto riprendendo. Il tipo mi guarda e mi dice:
«Inizia subito quando arrivi a casa. Credimi, potrebbe essere la tua ultima possibilità.»
Non riesco nemmeno a rispondergli, bevo un altro sorso di gin e firmo la ricevuta. Il tedesco infierisce sadicamente:
«Se non ti curi non hai più di…» e fa il cenno di alzare le dita della mano. Gliela afferro e gli chiudo le dita.
«Basta! Lo faccio!» gli dico, guardandolo fisso negli occhi.
Lui mi da una carezza sulla testa e mi dice:
«Hai incontrato l’uomo giusto al momento giusto, credimi. Se ci incontreremo in Tailandia mi ringrazierai e dopo la cura ti sentirai più giovane di quindici anni.»
Firmo, non lo ringrazio e, incurante del fortissimo temporale tropicale, inforco la bicicletta ed inizio a pedalare verso l’altro lato dell’isola. Sono sconvolto e quasi mi viene da piangere. L’acqua mi colpisce a scrosci violenti, inzuppandomi completamente nel giro di pochi secondi. Non vedo nemmeno dove sto andando e le sue parole mi rimbalzano in continuazione nella testa. Mi ricordo che mi ha detto che, se uno sta bene, ha la parte bianca degli occhi chiara, splendente. In caso contrario, significa che il corpo è intossicato e che stai male. Pedalo veloce, vedo solo ombre e penombre. Non c’è nessuno e sono disperato. Arrivo al college a pezzi e bagnatissimo. Salgo in stanza e mi guardo allo specchio: i miei occhi sono rosei e non bianchi come dovrebbero essere. Mi tolgo le lenti e mi guardo nuovamente allo specchio: rosa. Mi spoglio, mi butto sul letto e guardo il soffitto. Apro il PC ed invio un sms ed un’ email a Francesca, chiedendole di prendere tutto ciò che mi ha scritto.
Controllo su internet e verifico che la clorella è un alga, considerata uno dei più potenti disintossicanti naturali al mondo.
Perché sono qui solo? Perché non c’è nessuno da abbracciare? Perché non c’è uno stramaledetto cazzo di nessuno collegato a Skype? Passerò veramente una notte di merda…
21/05/2009
Distrutto e dopo aver dormito massimo mezz’ora, mi alzo per l’appuntamento alle 8 presso il centro d’immersione sito nella piccola isola adiacente al ristorante centrale e collegata da un lungo pontile. Il college dove ho fatto l’esame, infatti, non offre servizi diving, ma solo formazione professionale di vario tipo ed è un distaccamento della facoltà di management del turismo che ha sede a Male. Fra le altre cose forma anche istruttori e guide subacquee, soprattutto maldiviane. E’ come la scuola per il turismo che ho visitato anni fa in Australia e che pareva fosse unica nel suo genere e invece… L’umore è pessimo ed è inutile dire che gli occhi sono arrossati. Esco, faccio colazione e vado al diving. Il manager è un ragazzo coreano, che nel vedermi si inchina di continuo e dice che per tutti loro è un grande onore avermi bordo. Ovviamente posso fare e prendere tutto ciò che voglio dal centro e non c’è bisogno che prenoti nulla, ma solo che mi presenti quando voglio.
Ricaccio l’umore nero nello stomaco e sorrido dicendogli che l’onore è mio e che son certo che mi divertirò un mondo con loro. Il centro si chiama “Little Marmaid” e, dalla sala compressori, si nota che può gestire parecchi subacquei. Chiedo se posso fare un paio di foto ai compressori ed alle sale dove, con estremo ordine, viene riposta l’attrezzatura da noleggio. Sono onorati, dicono e mi aprono tutte le porte affinché possa riprendere tutto ciò che voglio. Carico l’attrezzatura in barca e controllo di avere tutto il necessario. Bombola, pesi, computer subacqueo, che controllo sia settato per l’utilizzo in aria, pinne e maschera. Mentre monto l’attrezzatura iniziano a salire bordo anche i componenti del gruppo di subacquei con i quali uscirò oggi.
Il primo che noto è un tedesco ultra-palestrato e pelato che urla, fa un sacco di rumore, fa di tutto per farsi notare e ride a voce troppo alta. Mi saluta con un cenno della testa che mi fa immediatamente capire che non ci sarà un feeling fra noi due. Poi un altro tedesco che è imbranatissimo, sembra l’attore di quei pezzi di video dei corsi subacquei nei quali ha il ruolo dello stordito, a cui succede di tutto.
E’ disordinatissimo, si presenta con pezzi di attrezzatura subacquea in mano, cade in barca, sigaretta in bocca. E’ talmente stordito che mi è simpatico d’istinto. Poi un russo, che non sembra avere il dono della parola, ed una coppia di olandesi, che iniziano a sparlare di tutti in barca. Li richiamo, facendo loro notare che capisco l’olandese, prima che facciano una figuraccia. Apprezzano, sorridono e mi ringraziano. «Parleremo a bassa voce» mi dicono e così faranno, in un angolo della barca, nei giorni successivi. Ultima componente del gruppo è una ragazza minuta e carina di origine indiana, con cui la guida subacquea maldiviana sta cercando, con discrezione, di creare un certo contatto.
“Eh, eh, le guide e gli istruttori sono uguali ovunque al mondo!” penso divertito.
I sintomi della mia colite, intanto, si sono amplificati a mille e l’umore non migliora fino a che la barca non si stacca dal molo. La prima immersione è a Kudara Tilla, famosa per i suoi colori e per la forte corrente che, generalmente, la colpisce. Tilla è il nome maldiviano di una secca con un cappello, la sua parte sommitale, che può raggiungere anche la superficie. E’ come una sorta di montagna sottomarina ed, essendo circondata da acque più profonde, offre riparo e cibo ai pesci anche grossi che passano in zona. Per questa ragione, ovunque al mondo, le secche rappresentano un’ambita meta per i subacquei e, purtroppo, anche per i pescatori. Questa Tilla è posizionata nel bel mezzo di una “Kandu”, ovvero di quei canali profondi che permettono il collegamento ed il ricambio delle acque fra l’acqua interna alla laguna, creata dall’atollo corallino, ed il mare aperto. A seconda delle maree nelle Kandu c’è corrente entrante o uscente e, dove c’è corrente, c’è nutrimento e pesce.
Insomma, ci sono tutte le prerogative perché sia una bella immersione e tutti si aspettano molto.
Il mare è mosso ed il tedesco stordito si rende conto di aver dimenticato il suo erogatore al centro d’immersioni. Per fortuna sulla barca, saggiamente, c’è un’attrezzatura “ spare” in più per ogni evenienza. Se si è del mestiere si sa che i rimbambiti sono molti più di quanto possa sembrare. Ci avviciniamo al punto ed il mare si ingrossa mica da ridere. Non è certo la migliore delle stagioni e, personalmente, non l’avevo mai visto così arrabbiato in occasione delle mie scorse esperienze maldiviane.
Il muscoloso, che ride a voce troppo alta, continua con la sua abitudine e fa casino per farsi notare dalla timida e minuta indiana. Se fossi in lei mi vergognerei e mi sentirei imbarazzato dal ricevere rumorose attenzioni dal palestrato-pelato e, secondo me, anche lei. Ci tuffiamo e raggiungiamo il cappello della secca, che si trova a meno quindici metri. Non è male, ma non c’è corrente, il che non è un buon segno. C’è vita, ma poca e, soprattutto, non ci sono squali e pesce pelagico di grossa taglia che ci si aspetterebbe in un posto simile.
Il tedesco ha chiesto alla guida maldiviana di essere spostato di gruppo per scendere con quello della ragazza e si affanna nell’indicare ogni stronzata per impressionarla. Lo stordito in acqua non è neanche male ed il russo grasso che in barca si muove sgraziato, qui, favorito dall’assenza di gravità, sembra una libellula. Gli olandesi scattano foto a qualsiasi scemenza si muova, manco fossero giapponesi. Dopo circa un’ora si risale, io poco entusiasta. Ovviamente sorrido e dico che è una figata, facendo il gioco delle guide maldiviane. Risaliamo a bordo e ci muoviamo per il secondo punto d’immersione. Scherzo con la guida, dicendogli che il muscoloso sarà un difficile ostacolo per le sue ire sessuali, perché la sta battendo al limite del fastidio, all’indiana. E’ quasi ridicolo e la protegge con il suo corpo dagli schizzi d’acqua creati dalla prua, che fende un mare sempre più nervoso.
Lui sorride dolce e mi dice: «Se le piace lui, non le posso piacere io.»
«Non mi preoccuperei fossi in te» gli rispondo.
Dopo un po’, sentendosi in colpa per la precedente immersione e notando che avevo sostenuto il gioco dicendo che era bella, decide di ricompensarmi in qualche modo.
«Sai la regola di stare in gruppo e di non scendere sotto i trenta metri?»
Annuisco, sperando che dirà quello che poi dice: «Beh, fai quello che vuoi, basta che esci dopo cinquanta minuti e non ti ammazzi.»
So quanto questo possa costare ad una guida subacquea che ha la piena responsabilità sul gruppo. Gli stringo la mano e lo ringrazio di cuore. Ci tuffiamo sul lungo reef corallino non lontano dall’isola del resort. Sfruttando il regime di libertà appena ottenuto, scendo velocemente senza aspettare il gruppo. Il segreto per filmare e vedere pesce grosso è essere soli ed in anticipo rispetto agli altri. Non si vede veramente niente e penso che, se dovessi pagare il prezzo assurdo delle immersioni di questo centro, mi arrabbierei seriamente. Il Nino, nel 2003, ha dato veramente una brutta botta a ‘sto corallo, che in gran parte è morto e grigio. Fortunatamente ho fatto la mia prima crociera qui nel 2002, con mio padre ed un amico, e ho avuto la possibilità di vedere questo paradiso ancora intatto e sostanzialmente diverso da oggi. Non vedo nulla, niente squalo balena, niente squali, del corallo morto e nemmeno volare in acqua, cosa che ha sempre un grosso impatto su di me, mi solleva il morale. Rientriamo e lo stordito cade ancora un paio di volte in barca, di cui una sulla sua sigaretta accesa provocando l’ilarità generale. Mi avvio al ristorante per pranzo, ma dato che è da quando sono giunto qui che mangio cibo maldiviano, Sendi mi chiede se non voglio andare a pranzare nel ristorante dello staff alberghiero.
«Certo» rispondo, convinto che sarà meglio che il ristorante centrale, dove sfilano inglesi e tedeschi ormai di color aragosta.
Infatti lo è, tutti sono gentili con me, non essendo abituati a vedere uno straniero nella loro “ cantina” ed insistono per farmi saltare la coda. Io rifiuto e mi metto in fila, così Sendi ha nuovamente l’occasione per raccontare in giro la scena del peperoncino che ha un effetto dirompente. Ora non posso rifiutare, devo saltare la coda mentre tutti mi guardano compiaciuti. Per fortuna non ci sono i peperoncini, se no, mi sa, avrei dovuto fare un ulteriore dimostrazione, bruciandomi palato e lingua. Dopo pranzo mi addormento con la pancia piena e l’aria condizionata erroneamente lasciata accesa a venti gradi. Mi sveglierò, quasi tremando, dopo un’ora.
L’umore non sale affatto e decido di andare a nuotare, fottendomene della regola di buon senso che dice di non fare alcuno sforzo dopo un’immersione. Io ne ho fatte due, la seconda bella pesante e dovrei permettere all’azoto disciolto di uscire dai tessuti senza creare emboli. Mi piace l’idea di nuotare sotto la pioggia e con il mare mosso. Imparerò la tecnica di navigazione del nuoto in acque aperte letta sul libro di triathlon che mi sono portato dietro e che ho finito in aereo nel viaggio. Bisogna, ogni tre bracciate, alzare la testa e cercare di fissare un punto di riferimento. Dopo un po’ si dovrebbe intuire da che parte tira la corrente ed, a quel punto, si decide la strategia per raggiungere il punto nel minor tempo. Sembra facile, ma non lo è affatto. I primi tentativi di respirazione a testa alta sono impediti dal beffardo mare, che si diverte a riempirmi la bocca con un onda dal tempismo perfetto. Poi prendo il ritmo e sarà l’unico momento della giornata in cui non penserò a nulla, raggiungendo quindi un gran risultato. Se non fosse che arriva il buio tropicale verso le 17:30 nuoterei per altre tre ore, almeno non penso.
Sono stanco, vado al bar a farmi una bottiglia d’acqua e guardo gli occhi della gente: sono tutti bianchissimi! Che giornata di merda! Devo trovare una strategia per uscirne, devo pensare che ho avuto una fortuna sfacciata ad incontrarlo, che ora seguirò i suoi consigli e guarirò, che starò bene, che vivrò a lungo, che mi cambierà la vita in meglio. Sì, devo fare così, devo convincermi!
Cena organizzata dal centro sub in onore dei ragazzi che hanno passato l’esame, oltretutto in modo esemplare. Sono tutti carini ed anche la francese, la cui sola mia presenza la irritava a morte, inizia a sciogliersi ed a parlarmi. Più di tanto non si può pretendere, infatti sostiene subito che la PADI fa schifo rispetto alla CMAS, la federazione francese subacquea, e che in passato ha sostenuto l’esame solo per trovare un impiego all’estero. Faccio il diplomatico rispondendole:
«E’ vero, hai ragione, ma mi ha assunto PADI, è per questo che sono qui.»
Si scioglie, probabilmente era pronta per una discussione della quale, invece, non mi frega assolutamente nulla e non voglio darle la possibilità di iniziarla: ho altri pensieri io! Faccio il simpatico istituzionale, stringo le mani a tutti e mi complimento ancora con i nuovi istruttori per l’obiettivo raggiunto. Se penso quanto questo pezzo di carta cambierà la loro vita e quanti sacrifici hanno dovuto sopportare per sostenere le spese dei vari corsi, quasi mi commuovo. Sono certo che non sono mai stato così felice di promuovere qualcuno da dieci anni a questa parte.
22/05/2009 – Arriva l’aiuto dal cielo: l’incontro
Mi alzo dopo una bella dormita secca di otto ore, come non mi capitava da tanto tempo, ma non mi sento affatto riposato. Il curry che sto mangiando in quantità considerevoli si sta facendo sentire ed ho lo stomaco gonfio. Vado in bagno a farmi la barba. Lo specchio riflette l’immagine di due scure occhiaie che contornano occhi con la parte non occupata dall’iride, rosea. Ma che cosa sono ‘ste due occhiaie? Manco avessi bevuto tutta la sera prima. Ma che cazzo ho? Non bevo, non mangio cagate, ma solo riso e verdura, non fumo. Perché non sto bene? Perché qualcuno o qualcosa ha deciso di rovinarmi questi giorni? Mi infilo le lenti negli occhi arrossati, inforco la bicicletta e pedalo veloce verso il ristorante, avvertendo un leggero mal di testa. Merda! Quando arrivo faccio l’infame e mi siedo in un tavolo vicino al mio. Il cameriere non sa come affrontarmi e vedo che si innesca un’accesa discussione fra lui e gli altri responsabili. Dopo un po’, uno prende coraggio e viene a farmi notare che a quel tavolo non potrei avere la stessa ventilazione e luce che al mio, in fianco. Rispondo, da vero provocatore, che non voglio luce, grazie per il pensiero ma sto bene qui. Il cameriere si allontana affranto. Sto male dal ridere, ma mi alzo e gli dico che, in effetti, un po’ più di luce non guasterebbe e lui schizza veloce a versarmi il caffè, sorridendo felice. Butto giù qualcosa saltando la frutta, che potrebbe fermentare nello stomaco, e corro, con ancora un panino con la marmellata in mano, in direzione del centro d’immersioni.
La giornata è splendida, la più bella di quelle che troverò in questa vacanza. Al centro c’è eccitazione perché il punto d’immersione di oggi è il più bello della lista. Il fatto che il manager del centro sia a bordo e stia montando la sua attrezzatura personale la dice tutta ed è di buon auspicio. Si inchina tre, quattro volte salutandomi, quando mi vede e mi ripete:
«Quale onore!»
“Ma che onore è? – mi domando – tra l’altro non pago una lira! Meglio di così…”
Porto stancamente la borsa in barca, dopo aver litigato per un quarto d’ora con un lucchetto di produzione cinese completamente ossidato, che avrebbe dovuto chiudere il mio armadietto contenente vestiti, cellulare, portafogli e passaporto e che mi porto in giro da tre giorni, dimenticandomi di lasciarlo in stanza e correndo un grosso rischio.
La barca oggi è piena. Al solito gruppo si è aggiunta una famiglia di francesi, con figlia di circa ventiquattro anni, gran bel tipo. Dato che nel villaggio si tratta di un autentica rarità, le guide maldiviane sono con lei super-gentili e fanno a gara per riuscire ad inserirla nel proprio gruppo. Non hanno fatto i conti con il muscoloso-palestrato tedesco che, con fame sessuale aumentata, probabilmente, dal fatto che con l’indiana è andata buca, ha già iniziato a ridere rumorosamente, offrendosi di aiutarla a montare l’attrezzatura. Incomincia a stare proprio sull’anima a tutti, ma è talmente cretino che i saggi locali non lo considerano, e nemmeno la francesina, grazie a Dio. Oltre a loro c’è una coppia di ungheresi che vivono ora a Palma de Maiorca e lui sembra spiccicato a Pipin.
Sorrido ricordando il primo incontro con Pipin a New Orleans, in occasione della fiera internazionale della subacquea nel ‘94. Lavorava come persona immagine per Mares, ma non era mai allo stand ed era una bestia da rimorchio-donne impressionante. Aveva appena compiuto un record di discesa fino a centosessanta metri respirando due boccate di ossigeno ad un certo punto della discesa. Ovviamente era un record senza valore internazionale perché non riconosciuto da alcuna federazione, ma fece scena ed era quello che lui voleva. Una sera uscimmo a bere un aperitivo e finimmo in un “oyster bar “, dove offrono ostriche e champagne. Entrò dicendo che non si sarebbe potuto fermare per più di mezz’ora e così fece. In quella mezz’ora si bevve una bottiglia intera di Clicot e si ingollò ventiquattro, dico ventiquattro, ostriche senza fare una piega.
Il bar era in cima ad un grattacielo con una splendida terrazza. Dopo un po’ ci sentivamo strani, la visuale era cambiata. All’inizio avevo quasi timore nel far notare la cosa, ma ero sicuro che il grattacielo di fronte ostacolasse la vista sul Mississipi che ora, invece, si vedeva chiaramente. Mentre cercavo di convincere il tavolo delle mie impressioni, senza alcun effetto se non lo scherno generale, il tavolo in fianco al nostro ci fece notare che il piano girava, lentamente, ma girava. I compagni di avventura rimasero tutti esterrefatti. «No!» esclamò il Pipin ubriaco. «Non è possibile!» Poi guardò l’orologio e se ne andò per impegni più interessanti.
Si parte con un dhoni, un’imbarcazione maldiviana, vecchio ma orgoglioso, fra le proteste del palestrato che cerca l’approvazione e l’appoggio di tutti, ma non lo trova. Lo guardo e non riesco a fare a meno di notare i suoi occhi bianchissimi….Dopo un’oretta arriviamo alla Tilla. Il viaggio è stato piacevole e soleggiato, ci si è abbronzati e ho parlato tutto il tempo con Pipin in spagnolo. Mi dice che un tempo organizzava le battute di caccia all’orso per italiani e che i Carpazi sono pienissimi di queste bestie. Poi, con l’Europa unita è diventato difficile l’importazione dei trofei cacciati e gli italiani sono lentamente scomparsi. Da lì, la decisione di trasferirsi a Palma, dove lavora nel turismo. Ancora una volta la guida mi dice che posso fare quello che voglio, dato che non sono registrato, non ho mai consegnato il brevetto che ho lasciato a casa, non pago e se mi disperdono, sono solamente cazzi miei. Sorrido , mi vesto e mi butto per primo sulla tilla. Il cappello è pieno di vita, ma anche questa volta la corrente quasi non c’è e, quindi, manca il pesce pelagico. Inizio a filmare con la telecamera che mi piace sempre meno. Il faro, poi, è una vera merda e non lo accendo nemmeno più.
Non è male qui sotto e nella solitudine, poco alla volta, mi ritrovo finalmente sereno. Incontro un pesce palla tutto nero a pallini bianchi. Ha una grossa pancia dilatata ed è curioso come me. Si avvicina, mi osserva e si sposta lentamente con l’ausilio di due piccole pinnettine ventrali, che sbatte ad alta frequenza, come se fosse un colibrì. Sto lì per quasi dieci minuti, è troppo simpatico!
“Non hai la parte bianca degli occhi”, penso, “se no, con quello stomaco dilatato, ti avrei portato dal mio amico!”
Fluttuo e scivolo in acqua e voglio bene ad ogni bestia che incontro. Le conosco tutte e conosco i loro caratteri, mi sembra di essere fra amici, così mi rilasso e la schiena inizia a sciogliersi. Scivolo spinto dalle mia amate pinne Omer. Quanti anni ormai mi legano a loro? Dieci o quindici? Forse anche di più e senza loro l’immersione non è la stessa. Posso cambiare tutto e non mi frega assolutamente niente, ma la mancanza delle Omer la patisco ogni volta da paura. Ho persino ordinato la versione con lacciolo, per poterle utilizzare con la muta stagna e mi sa che sono l’unico in Italia che le ha. Ho fatto i salti mortali per averle! Se non fosse stato per il mio amico Luciano, proprietario di un importante negozio sub di Monza, e che ci ha messo sei mesi per averle, non penso che sarei mai riuscito ad acquistarle. Che cosa sono, in confronto, quelle piccole pinnette con la molla che vanno tanto di moda oggi fra la comunità di subacquei tecnici e gli amanti delle cose inutili? Finisce l’immersione e ci spostiamo verso la seconda, e mi rendo conto che è la stessa di ieri. Il lungo reef è un lato della barriera che delimita l’atollo di Ari a sud ed il punto si chiama Dhidhoofinolhu Beru. Ieri non ho visto proprio un bel niente, mentre rimuginavo sul costo assurdo delle immersioni, da cento dollari con attrezzatura! Secondo me ci sarebbe da fare rivolta ed ammutinamento e invece: «Eccolo!» indica la guida, con la quale parlavo fino ad un attimo fa di donne. Vedo che indica un punto non definito della superficie marina.
«Ecco cosa, scusa?»
«Wale shark!» urla.
«Ma dove?» dico, cercando di mantenere la calma.
«Lì! Non vedi?»
“Ma che cazzo ha, l’occhio bionico? Io non vedo una proprio niente…” penso, approfittando però del momento soporifero che regna in barca.
Prima che si riprendano ho già le pinne ai piedi, maschera sul volto e telecamera in mano. Lo skipper mi dice di aspettare, ma non lo faccio e mi tuffo fra le onde.
Poi un attimo di terrore: “E se fosse uno scherzo? Che figura di merda! Non salgo più in barca e ritorno a nuoto, giuro!”
Non è uno scherzo, vedo un’ombra enorme che viene verso di me. Sarà lunga dieci metri e si muove lentamente, affatto spaventata dalla mia presenza. Accendo la telecamera e filmo.
“Che telecamera del cazzo!” penso, ma chissenefrega, è troppa l’emozione!
Avanza con colpi di coda lenti ma potenti. E’ completamente nero con piccole macchie bianche e la mia attenzione si sofferma, inevitabilmente, sugli occhi piccolissimi, se confrontati con l’enorme massa in movimento. Quando il gruppo di dormiglioni si riprende e tutti si tuffano, lui inarca la schiena e, lentamente, scompare in profondità.
Risalgo e guardo il video: c’è! Poco e male, ma c’è!
Grazie Dio! Grazie per questo regalo! Non ce la facevo più ad essere triste! Grazie! Dopo dieci minuti siamo tutti nuovamente a bordo, piano piano l’eccitazione sciama ed il sonno ritorna sovrano.
Ma ecco ancora un urlo: «Waleshark!»
Alé, ormai conosco la procedura, afferro pinne, telecamera e maschera e via, più rapido di tutti. E’ un altro esemplare, più lungo, grosso e più lento. Come mi piacerebbe essere qui con la banda dell’anno scorso! Ora il filmato riesce meglio e prima di scomparire per l’arrivo della folla lo riprendo per bene. Lo seguo e lui non sembra affatto infastidito, si fa riprendere in tutta la sua docile lentezza e in armonia con l’ambiente che lo circonda. Si risale a bordo, tutti mi chiedono di vedere il filmato ed io li accontento, fiero di aver colto, ancora una volta, l’attimo. Dopo poco siamo pronti per il secondo punto d’immersione ed al segnale del capitano ci tuffiamo, cercando di raggiungere il fondo ed impedendo così alla corrente di trascinarci lontani dal reef corallino. Il gruppo, per la prima volta, è sceso unito e tutti si trovano alla profondità giusta al momento giusto. Anche se si potrebbe pensare che la procedura sia semplice, pare non lo sia affatto con il gruppo composto, fra gli altri, anche dallo stordito, che quotidianamente dimentica pezzi fondamentali a bordo per rendersene conto solo una volta saltato dalla barca. Oggi no, sembra che il dio del mare abbia ascoltato le preghiere del capitano e della guida maldiviana e pure lo stordito sembra perfetto. Mi fiondo a meno quaranta metri, sfruttando la compiacenza della guida subacquea e vengo seguito dal palestrato che, però, viene fermato.
«No! Tu non puoi» gli segnala il Divemaster dell’immersione. Che godimento!
Ecco che l’ombra che intravedevo dall’alto si definisce e riconosco la livrea di uno squalo leopardo immobile e fermo, appoggiato sul fondo quasi addormentato. Mi avvicino con cautela e trattengo il respiro per non disturbarlo con il rumore provocato dell’espirazione di bolle. Non si muove, nemmeno quando sono così vicino da poterlo toccare. Mi osserva, ma non si muove. Accendo la telecamera attento a non fare gesti bruschi ed inizio a riprendere.
Con il grandangolo riesco a riprendere da molto vicino l’amico, mantenendolo, però, nell’inquadratura. Ha la bocca aperta e pompa acqua, spingendola fuori dalle branchie presenti ai lati. E’ necessario per gli squali, per respirare devono continuamente muoversi, ma questa specie ha imparato a respirare anche da fermo. Lo accarezzo e lui non scappa. Che bello! Mi guarda e, come se capisse che sono solo affascinato da lui e non ho intenzioni bellicose, si lascia osservare.
Arriva la marmaglia sconnessa e rumorosa e mi sento in colpa per loro. Con un colpo di coda lieve si allontana, regalando anche a loro la visione di un affascinante e gentile angelo del mare. Ecco qualche tartaruga. Fluttuo immobile, trasportato dalla corrente, con a fianco il maldiviano Mohamed. Che subacquei, ‘sti ragazzi, hanno il mare dentro, lo rispettano e credono in lui. Starei bene a vivere qui con loro. Tappa a cinque metri per desaturare con il gruppo, che non riesce a starci nemmeno un secondo. Usciamo ed il capitano sta urlando qualcosa di incomprensibile a Mohamed, che spinge tutti ad andare verso la barca. Mentre tutti si affannano verso la scaletta noto che lui si rimette la maschera.
“Eh no – penso – non mi freghi!”
Mentre i primi, che hanno raggiunto la scaletta combattendo contro la forte corrente di superficie salgono in barca, la guida sgonfia il Gav e scompare sotto la superficie dell’acqua. Col cazzo che salgo in barca! Sgonfio e scendo anch’io. Altro Balena, e stavolta senza stronzi in giro! Non si spaventa e si avvicina moltissimo ai ragazzi dello staff maldiviano. Non si affannano come gli altri ad andargli incontro ed attaccarsi a lui. Lo osservano rispettosi ed innamorati della visione. Lui lo capisce, è come se stesse incontrando vecchi amici, quasi ne tocca uno con il suo possente corpo. Riprendo, tutto emozionato e cercando di trattenere il respiro, ma non sembra che sia suscettibile al rumore. Fra lui e questi ragazzi c’è un rapporto impossibile da non notare, che fa si che lui si senta tranquillo e calmo. Saranno le più belle riprese della vacanza e l’emozione è indescrivibile. Rimane con noi altri tre o quattro minuti, un tempo che a me appare eterno: che spettacolo! Grazie Dio! Che mattinata! Risalgo in barca fra gli sguardi torvi del gruppo e, con un’infinita pace nel cuore, mi godo il viaggio di ritorno su questo dhoni, che solca rumorosamente le increspature del mare imbarcando acqua. Mi sorbisco la penosa scena del palestrato, che la batte senza vergogna alla ragazzina francese troppo giovane. Che ignorante! Giunti al centro, ovviamente, non penso nemmeno un secondo a risciacquare l’attrezzatura e mi fiondo al ristorante in preda alla fame più nera perché è l’una e trenta. Chiamo in Italia per dire dei balena e mangio riso in bianco e pollo, manco fossi Gianni Petrongari.
Gianni è stato per anni il mio capo quando lavoravo in Egitto, nei Caraibi ed in Kenya. E’ ultra paranoico per le malattie e per il proprio fisico ben curato e possente. Riusciva a convincere tutti delle proprie qualità ed il suo staff lo ammirava e subiva enormemente il suo carisma, ma non riusciva a relazionarsi con le persone al di fuori dell’ambito lavorativo. Mi ha insegnato veramente tanto e se oggi ho la fortuna di essere in questo splendido posto, devo molto a lui.
Quando lavoravo in Kenya era in continuo stato di tensione a causa della malaria ed io mi divertivo a dirgli che avevo ricevuto notizie di una diffusione anomala della malattia nelle ultime settimane a Malindi. Eh, eh, quando uno si dice “genio del male”! Mangiava solo riso in bianco e pollo, permettendosi alla mattina una decina di bianchi di uova sode. Raggiungo la stanza, sono stanco ed ho sonno. By-passo il bagno per non cadere nella tentazione di guardare il colore dei miei occhi allo specchio: non mi voglio rovinare nemmeno un secondo di questa giornata! Metto la sveglia per le 18, perché Sendi ha organizzato un trasferimento per la cena all’isola in fianco, per farmi conoscere lo staff che lavora in uno dei suoi centri. Ieri era eccitato dall’idea di presentarmi a loro, soprattutto al responsabile del centro, Tom.
Mi sveglio, mi incontro con Sendi e Hussain ed, in bicicletta, attraversiamo l’isola per dirigerci all’imbarcadero. Il tratto in bicicletta è meraviglioso e la fitta vegetazione di palme, banani, fiori coloratissimi e felci emette il suono delle mille grida degli uccelli che le abitano. Il capitano della barca è di buon umore e mi offre una sigaretta, dopo lo scambio di un paio di battute. Accetto, anche se non sono un fumatore e mi metto in fianco a lui per tutta la durata del tragitto verso Holiday Island. L’isola è decisamente più piccola di quella dove alloggio io ed un lunghissimo pontile fuoriesce dalla spiaggia, come se fosse un appendice del suo corpo. Una ragazza bionda ci aspetta sul modo e ci saluta. E’ Nicole, la ragazza di Tom. E’ svizzera ed è accompagnata dalla mamma, che orgogliosa e gentile ci saluta, dicendomi che ha finalmente capito di cosa si occupa la figlia, partita due anni prima e da allora mai più incontrata. Ecco che arriva Tom. E’ superattivo e dimostra da subito una notevole capacità di comunicazione in diverse lingue, passando dal tedesco al maldiviano ed all’inglese, intramezzando con semplici frasi in italiano. Mi conduce a visitare il centro, spiegando a me ed a Sendi tutte le migliorie e le strategie di promozione che sta mettendo a punto.
«C’è crisi e il villaggio è pieno solo al trenta per cento, una cosa mai vista fino ad ora» ci racconta.
Mi viene il mente il discorso della clientela selezionata e ricca e sono sempre più convinto che qualcosa deve cambiare, se vogliono rimanere in piedi economicamente. Il centro è piccolo e ben curato ed ha pure un centro di ricarica nitrox per le bombole. Mi dimostro entusiasta, sinceramente capisco Sendi quando mi dice che Tom è il giusto manager per questo centro. E’ innamorato della sua piccola isola e trasmette la sua passione a chiunque lo avvicini. Al ristorante mi presentano gli altri due componenti del gruppo di lavoro. Non salta mica fuori un istruttore che ho esaminato io nel 2004?! Lo abbraccio e Danilo è più stupito di me. All’inizio è un po’ imbarazzato, ma poco dopo, sia lui che la sua ragazza, iniziano a parlare a fiume di tutto e capisco che non devono aver usato l’italiano da un bel po’. Parlerò con loro fittamente in italiano tutta la sera, facendo risentire un po’ Tom. Mi raccontano della loro vita, del precedente lavoro di lui come carrozziere e della scelta, un giorno, di lasciare tutto, come gli avevo consigliato io all’esame. Mi ringrazia.
«Sei stato così convincente che alla fine l’ho fatto» dice. «Quando ho sentito la tua chiusura dell’esame avevo solo voglia di andarmene a festeggiare con gli amici e di dormire due giorni, per riprendermi dallo stress, ma dopo una settimana le tue parole mi sono ritornate alla mente. Lentamente, mi sono ritrovato a pensare all’attuabilità del progetto di fuga dal mondo ed eccomi qui.»
Mi emoziona con le sue parole e mi fa sentire di essere stato importante per la sua vita. Mi riempie di una gioia incontenibile e gli offro da bere. La sua ragazza ha lavorato per anni in Australia e in Malesia e domani, mi conferma, sarà la mia guida, se deciderò di immergermi con loro. Dopo baci, abbracci e scambi di numeri telefonici, risalgo sul dhoni per rientrare con Sendi e Hussein a Sun Island, sotto una battente pioggia tropicale, salutando e ringraziando Tom per l’invito all’immersione di domani.
Siamo tutti felici e sereni ed il capitano, come mi vede, mi offre una sigaretta. Che bella giornata!
Mi addormento sereno.
23/05/2009 – Maldive: la fortuna mi segue
Mi sveglio dopo quattro ore e da lì sarà solamente un girarsi di continuo.
Alle 7 decido, stravolto, di non immergermi questa mattina, ma di raggiungere i ragazzi ad Holiday Island per fare un tuffo con loro. Mi sembrerebbe brutto non approfittare del gentile invito ricevuto e spero, così, di farmi perdonare per il poco tempo dedicato a Tom ieri sera. Riesco, a colpi di melatonina, a dormire ancora un paio di ore e, dopo una serie di addominali, vado a fare colazione. Dal tavolo, nuovamente errato per scelta crudele, osservo il mare agitato e noto una serie di boe che delimitano lo spazio di balneazione. Sarebbero perfette come percorso di nuoto ed il mare così agitato ed increspato dal vento renderebbe la navigazione, da un punto all’altro, impegnativa. Bisogna stare attenti vicino alle boe, perché le numerose imbarcazioni che transitano da e per l’isola navigano vicinissime a loro e le onde potrebbero rendere un nuotatore completamente invisibile al capitano. So già cosa farò fra due ore, una volta digerita l’abbondante colazione. Tanto il pranzo lo devo saltare comunque, dato che la barca che mi porterà sull’altra isola per l’immersione parte alle 12:45 ed il ristorante apre alle 12:30.
Vado in stanza ed inizio a preparare tutta l’attrezzatura video. Carico la telecamera, svuoto la scheda di memoria, controllo lo stato dell’O-ring di gomma, che sarà il responsabile della tenuta della scafandratura contenente la telecamera una volta immersa, e visiono i filmati della giornata precedente, classificandoli sul pc portatile. Sono pronto per la spiaggia e, dopo essermi infilato il costume e preso gli occhialini da nuoto, salgo sulla bici e mi dirigo verso la spiaggia. Non c’è nessuno, sta per arrivare un acquazzone e tira un vento costate e forte. Il colore del mare, che con la luce del sole è azzurro chiaro macchiato di chiazze indaco, ora è scuro, grigio, increspato dalla schiuma prodotta dalle onde e dal vento.
Mi infilo gli occhialini ed osservo il primo punto da raggiungere: una boa rossa con alle spalle un’imbarcazione ferma al molo. Mi tuffo e non vedo nulla, il mare agitato ha reso l’acqua marrone a causa della sabbia sollevata dalle onde e non ho alcun riferimento sul fondo. All’inizio è disorientante, ma poi inizio a non preoccuparmene. Non vedrò nulla sott’acqua, ma ho i punti di riferimento quando sollevo la testa. Non risulta una manovra facile perché ogni volta che alzo la testa la boa è nell’incavo dell’onda e non si fa vedere. Oltre a ciò, dato che devo respirare con la bocca aperta, bevo in pratica ad ogni atto respiratorio. Capisco che, forse, non sono ancora in grado di affrontare un simile mare e mi consolo dicendomi che mai nella mia vita farò una competizione in queste condizioni.
Poco alla volta, però, riesco ad ingannare le onde che mi riempiono la bocca e che mi nascondono beffarde la boa di riferimento. La spalla dolorante inizia a scaldarsi ed il ritmo cardiaco raggiunge la velocità ottimale per attivare il metabolismo aerobico. I movimenti si fanno sempre più fluidi e l’impossibilità di vedere alcunché sott’acqua diventa un problema di cui non mi preoccupo più. Nuoto senza pensare a nulla e sentendo solo il mio corpo che gestisce lo sforzo. Ogni tanto ascolto ciò che ho intorno, cercando di captare il rumore delle imbarcazioni. Vado avanti per un ora ed esco dall’acqua soddisfatto e felice delle affinate capacità di navigazione. Esco e spunta il sole, così mi riempio di crema e mi spaparanzo su una sdraio per asciugarmi.
«Mi scusi» mi dice un ragazzo, in inglese stentato. «E’ mia, non vede che ho appoggiato sul tavolino vicino all’ombrellone il tubetto di crema solare?»
«E allora?» gli rispondo.
«L’ho messo lì per riservare le sdraio quando pioveva ed ora sono qui con la mia ragazza.»
“Ma allora non solo gli italiani così stronzi!” penso, ricordandomi questa vergognosa pratica in voga nei Villaggi del Ventaglio quando ci lavoravo. “E’ un’odiosa abitudine internazionale!”
Il ragazzo, in spagnolo, dice velocemente alla ragazza che ora mi caccia, se no chiama la direzione ed io, poco voglioso di discussioni e pensando che non voglio creare problemi a Sendi, gli rispondo, in spagnolo, stupendolo: «Ficcati nel culo questa fottuta sdraio, stronzo!»
Inizia a piovere di nuovo, alla faccia della fastidiosa coppietta, quindi mi reco al centro per preparare la roba da portare da Tom e recupero anche l’attrezzatura video dalla stanza. Il tempo stringe e, pieno di roba in mano, mi reco all’imbarco per Holiday Island. Presento, alla richiesta della guardia del molo, il cartellino identificativo con il mio numero di stanza e innesto, ancora una volta, una consulta che dura per mezz’ora e che angoscia tutti gli addetti. Non capiscono chi sono ma, anche loro, per non avere problemi e non fare figuracce, magari con un vip, mi concedono di salire a bordo e partiamo. Lo stomaco brontola di brutto e, sfruttando il numero di cellulare datomi ieri dall’istruttore italiano che mi sta aspettando, gli invio un sms chiedendogli se non c’è, per caso, un panino da recuperare al bar al mio arrivo. Dopo poco un sms mi dice: Non c’è problema, si mangia al ristorante.
“Bene” penso sorridendo, alla faccia di chi dice che non si entra in acqua se non dopo due ore dal pranzo, regola mai rispettata in vita mia.
Al mio arrivo mi si dice che c’è una margherita che mi aspetta sul piatto. Trascinando la voluminosa attrezzatura per il lunghissimo molo, arrivo affannato e sudato davanti alla pizza, che divoro con avidità impressionante. Tom mi chiede se sono rincoglionito, perché ho portato l’attrezzatura da sub.
«Pensavi che non te la dessimo?» commenta acido.
«Ma capisco che uno si voglia immergere con la sua personale.»
«Guarda – gli rispondo – a me non frega niente di che attrezzatura uso, basta che funzioni. Però non volevo disturbare e, sinceramente, non ci ho nemmeno pensato. Comunque domani, se vengo, non faccio che lasciarla a casa, ora che lo so.»
Sorride e mi fa capire che abbiamo fatto pace. Mi offre una Sambuca, affare da duri a trentasei gradi, all’una e trenta, sotto il sole cocente, e mi confessa che è nato in Romania e che, un goccio dopo pranzo, fa bene alla digestione.
“Ed all’immersione” penso, scettico e sudato.
Al centro dobbiamo aspettare altri tre clienti e vengo letteralmente massacrato dalle zanzare.
«Il mare è agitato e non ti posso portare dove pensavo, mi spiace!» commenta con voce squillante l’istruttrice conosciuta ieri sera.
“Non mi importa, voglio solo andare via da questo covi di feroci zanzare” penso.
Noto che il capitano asserisce cose senza senso, sostenendo che dall’altra parte del reef il mare è in condizioni pessime.
“Come fa a saperlo?” mi domando.
E’ chiaro, sta cercando di prendere per il culo l’istruttrice, che non ha sufficiente carattere per tenerlo a bada.
“Tutto il mondo è paese” mi dico sorridendo e pensando alle numerose discussioni avute con i capitani egiziani, italiani e caraibici.
Mi faccio offrire una sigaretta dal capitano e gli regalo una bottiglietta d’acqua. Gli chiedo dove pescano il pesce, disposto ordinatamente su una barca ferma al molo e che scarica rifornimenti all’isola. Gli chiedo anche quali sono i pesci migliori per la zuppa maldiviana di pesce e chiacchiero con lo staff di bordo. In ogni imbarcazione da sub ci sono, oltre al capitano, altre tre persone che aiutano i clienti nelle operazioni di vestizione, ingresso ed uscita dall’acqua. Sono vestiti in modo assurdo, ovvero con pantaloni e camicia stirata, manco lavorassero nell’ufficio contabilità. Si inzuppano, sudano e lavorano, ma alla fine appaiono più puliti ed ordinati di tutti gli altri a bordo. Ma di che cosa sono fatte ‘ste camicie, per mantenere la stiratura e la piega perfetta dopo essersi prese un’onda addosso? Penso all’abitudine che ho di indossare sempre magliette per evitare “lo sbattimento camicia” che nel mio caso, invece, si stropiccia nell’attimo in cui la tiro fuori dall’armadio, quando ancora non l’ho indossata.
Nicole, la ragazza di Danilo, l’istruttore italiano, è svizzera ed abita nel Canton Ticino. Dopo lo studio è partita, nonostante le proteste del padre e ha vissuto in Australia ed in Malesia. Mi spiega che non è facile far capire agli amici ed ai parenti ciò che ci spinge a non rientrare nel mondo civilizzato. Infondo è molto più semplice vivere fuori dall’Europa ed il rapporto fra stipendio e costo della vita permette di condurre un’esistenza che non è affatto male.
Non è questo però che la fa continuare. Sono le emozioni, che vive ogni giorno in mare e che perderebbe per sempre vivendo in Svizzera, che la tengono qui. La capisco fino in fondo. Un senso di tristezza si è impossessato di me da quando ho deciso di rientrare nel mondo “comune”, forse per la quantità di momenti autentici che non riesco più a ritrovare. Le cose che per te sono importanti, per i tuoi amici in Europa non lo sono affatto e diventa difficile parlare con loro quando si rientra per una breve vacanza. E’ come essere su un piano diverso e ci si ritrova con una gran voglia di ripartire quanto prima, per non sentirsi a disagio in continuazione.
«Beh – le dico – c’è comunque tutta una vita davanti a noi e il tempo per rientrare non manca.»
E’ felice di questo ovvio commento e capisco che cercava qualcuno che le rinforzasse le sue convinzioni. Perché preoccuparsi del futuro più di tanto?
«Iniziamo a vivere bene il presente e tu, che t’immergi fra gli squali balena accompagnata da meravigliosi maldiviani, mi sa che lo stai vivendo nel modo giusto.» Sorride.
Siamo al punto e la barca, capitanata dal comandante poco voglioso di sbattimenti, si allinea lungo il reef di White Sand Island, faticando per rimanere nella giusta posizione. In barca abbiamo la compagnia di tre poliziotti tedeschi armati di macchine fotografiche, che non hanno scambiato una singola parola per tutto il viaggio.Preoccupata da quando le ho chiesto se mi si sarebbe lasciato un po’ libero di muovermi sott’acqua, Nicole mi avverte:
«Sai quali sono le regole delle Maldive, no?»
«No» rispondo, facendo lo gnorri.
«Beh, non bisogna superare i trenta metri di profondità. Mi raccomando, che ci sono pure i poliziotti con noi e sono tedeschi.»
«Eh beh, mi fanno la multa?» sorrido e domando.
Capisco che sia preoccupata e che abbia paura che, se mi dovesse succedere qualcosa, sarebbe veramente un macello.
«Non ti preoccupare, starò incollato a te» cerco di rassicurarla, ovviamente mentendo.
Tra l’altro mi hanno dato il nitrox 32, con un limite di profondità inferiore all’aria, per l’impressione sospetta che devo aver dato al centro…Eccomi in acqua. Quante migliaia di volte in vita mia mi sarò buttato da una barca ed avrò sgonfiato il GAV entrando in un’altra dimensione? Nonostante ciò rimane un’emozione enorme ed è, forse, uno dei momenti più belli dell’immersione, come se il mare aprisse la sua porta e tu avessi accesso al suo ventre. Un mondo dove le regole a cui sei abituato non valgono più, dove ci si sposta in tre dimensioni e dove gli incontri avvengono con creature strane ed affascinanti. La parete sprofonda verticale e volare a mezz’acqua nel blu mi permetterà di vedere qualche pesce pelagico che nuota controcorrente, tenendosi lontano dal rumoroso gruppo di produttori di bolle. Come al solito mi muovo per primo del gruppo, manco fossi io la guida che conduce l’immersione, ma so per esperienza che spesso il primo è quello che vede tutto, mentre il gruppo alle spalle si perde gli incontri più emozionanti. Il pesce, infatti, si spaventa e si inabissa lasciando perdere le tracce.
Una tartaruga nuota parallelamente a me lungo il reef, a circa venti metri di distanza. All’inizio mi osserva cauta, poi capisce che non mi avvicinerò e mi tiene compagnia per quasi tutta la durata del tuffo. Qualche squalo. Praticamente non si vede assolutamente niente e la luce sta iniziando a scarseggiare, data l’ora pomeridiana, rendendo l’ambiente cupo. Mi stupisco nel sentire vicino il rumore del motore della barca. Che cosa fa il capitano? Siamo a fine immersione e poco profondi ed un impatto con l’elica potrebbe essere fatale per un subacqueo. Cosa sta facendo? Questa è gente nata in mare, non può fare uno sbaglio così grossolano.
Poi penso: “Non è che mi vogliono segnalare qualcosa?”
Io farei così, sperando che quelli sotto capiscano. Inizio a guardare verso l’alto fino a che intravedo un’enorme macchia scura in controluce: eccolo! Ma li producono qui? La figura in siluette sta avvicinandosi sempre più e la telecamera è già accesa. Arriverà a cinque metri da me e sarà lungo almeno dieci metri.
Lo seguo fino a trenta metri, infrangendo qualsiasi regola del buonsenso, dato che ero in tappa di sicurezza a cinque metri. Ha la bocca spalancata ed una serie numerosa di remore, che sfruttano il passaggio attaccandosi con apposite ventose al ventre dello squalo balena. Piccoli pesci striati ed opportunisti gli nuotano a pochi centimetri dal naso, sono i pesci pilota. Noto che, come gli uccelli, il piccolo branco di sei, sette pesci pilota nuota posizionandosi secondo uno schema preciso e volto, probabilmente, a vincere l’attrito dell’acqua. Si inabissa …
Mi ricorderò di questi giorni per tutta la mia vita!
Gli altri, i poliziotti, dietro scattano foto a nudibranchi ed altre cose assolutamente insignificanti, e comunque non più grosse di qualche centimetro, e si perdono lo spettacolo del re del mare.
“Cazzi loro – penso – sono sbirri!”
Usciamo ed il capitano, come prima cosa, chiede: «L’avete visto?»
E tutti: «Cosa?»
Io: «Sì! Grazie! Era enorme!»
Sorride e pretende di vedere il video. Mi mette la mano sulla spalla e mi dice: «You good!»
«No – gli rispondo – you very good, captain Shkaraia!»
Vengo costretto a fumare l’ennesima sigaretta. Che bello che due persone, lontane anni luce e di mondi diversi si siano capiti in un attimo! Forse è questo che ci spinge ad abbracciarci e a ridere insieme. L’ho bagnato tutto, ma lui ride ed è quasi più felice di me che l’ho filmato. Gli sbirri guardano torvi. Riparlando con Nicole del suo futuro le dico che se avrà bisogno di aiuto per trovare un impiego può contare su di me. Come tutti gli istruttori, mi dice:
«Boh, non so cosa farò, deciderò strada facendo.»
Che bella gente che sono gli istruttori e quanto sono superiori a tutti! Vivendo queste emozioni tutti i giorni come si può spiegare agli amici che uno è realizzato miliardi di volte più di loro anche se non ha progetti per il futuro? Il dhoni delle 6 pomeridiane mi riporta a Sun Island. Sono felice e mi ritrovo a fischiettare allegramente, cosa che in mare, si dice, porti sfortuna. Il centro diving è chiuso e nascondo la sacca con l’attrezzatura sotto il banco del bar del centro. Mi ritroverò scarafaggi dentro maschera, pinne e muta domani, ma non me la toccherà nessuno. Arrivo in stanza pensando ancora al balena e sorrido: non si può dire che non abbia avuto un bella fortuna in ‘sta vacanzina. Domani, penso, farò le ultime due immersioni prima della partenza e si dovrebbe andare ancora nella zona di Kudarà, quindi, molto bella.
Peccato che non ho scritto queste note sul computer portatile che mi sono, tra l’altro, portato dietro, ma la Moleskine è romantica, oltre che un ricordo di un regalo prezioso. Non fosse per lei non avrei mai scritto nulla in vita mia ed ormai sento che devo finirla. Ogni pagina che consumo lei diventa un oggetto più sacro e sento come l’obbligo di consumarla in tutte le pagine che compongono il suo corpo. Mi rattristo per un attimo pensando che, una volta finita, non potrà più viaggiare con me.
Ringrazio infinitamente chi mi ha convinto a prendere nota dei momenti più significativi della mia vita. Non sono capace di scrivere, me ne rendo conto, ma così magari riuscirò a ricordarmi vividamente di momenti che si perderebbero inevitabilmente con il passare del tempo. Chissà se un giorno riporterò i miei appunti sul PC… non penso, sono troppo pigro …
Mi addormento.
24/05/2009 – Maldive: Mari tempestosi
Sveglia bella presto, per poter saltare ancora una volta clandestinamente sulla barca della doppia immersione della mattina.
Decido, contro ogni mio principio, di utilizzare una muta corta per poter far asciugare la mia che devo infilare in valigia. Rifletto che non ho mai utilizzato una muta del genere in vita mia, se non sedici o diciassette anni fa in Honduras, sull’isola di Utila, quando lavoravo come Divemaster. Utila era il paradiso dei subacquei “backpakers” e vi si offriva la possibilità di fare immersioni e corsi a prezzi che non ho mai più visto. L’immersione singola costava dieci dollari, dieci volte meno che qui, ed i corsi avevano un prezzo comprensivo dell’alloggio. Chi voleva diventare un professionista, iscrivendosi al corso di Guida Subacquea, aveva la possibilità di fermarsi quanto voleva a fare pratica nella scuola, usufruendo dell’alloggio gratuito e potendo immergersi ogni giorno. Ovviamente tutto era ben lontano dal concetto di lusso, ma l’olandese che gestiva il Cross Creek Dive Center era un po’ un padre per tutti noi.
Venivamo massacrati dai fastidiosissimi sand-flies e molti si grattavano le punture fino ad aprirsi delle ferite che si infettavano con facilità. La pressione dell’acqua in immersione faceva il resto spingendo l’infezione nelle carni così che, dopo poche settimane, molti ripartivano con ferite le cui cicatrici avrebbero ricordato loro per tutta la vita la permanenza sull’isola. Chi resisteva, dopo un iniziale periodo di sofferenza, si assuefaceva al veleno delle punture ed a quel punto avevi passato la prima selezione per poter scrivere un piccolo pezzo di storia della subacquea di Utila. La mattina ci si svegliava all’alba, si caricava l’attrezzatura in barca e si partiva per le due immersioni di programma, accompagnando i clienti che si bruciavano alla minima esposizione al sole.
Il posto era molto bello sott’acqua e parzialmente inesplorato. In occasione di una di queste immersioni, in un sito chiamato Black Hills, vidi per la prima volta nella mia vita uno squalo balena. Eravamo tutti eccitatissimi e andammo a festeggiare nella mitica discoteca-baracca del posto che si chiamava “Basket of Blood”, con l’unica bevanda a disposizione sulla piccola isola: cubalibre!
Il cielo è nerissimo e tira un forte vento che non promette nulla di buono. Mi muovo veloce ed in anticipo sui tempi per non rimanere sotto la burrasca con la bici, mi è già bastata una volta. Dopo una frettolosissima colazione a base di tutto ciò che è controindicato per la colite, mi fiondo al dive center, accompagnato da un cielo tempestoso e lacerato da fulmini. Carichiamo la roba in barca e “il muscoloso” si prende una legnata terribile in testa, cercando di salire a bordo agilmente con un salto per impressionare la ragazzina francese e facendo una splendida figura di merda. Ridono sollevati anche i maldiviani che, in competizione con lui per la conquista della pulzella, godono dell’inaspettato regalo offerto dal goffo tedesco. Si parte, stesso gruppo di ieri. L’ungherese che vive a Palma scherza e sdrammatizza con il capitano che, invece, non mi sembra affatto allegro mentre scruta l’orizzonte scuotendo la testa. Ci si sposta verso una tilla disposta in mezzo ad un canale che, quindi, dovrebbe essere esposta a forte corrente. Quando scendiamo noto il cielo veramente nerissimo ed il capitano sempre più preoccupato.
La tilla è bellissima e, come previsto, con corrente forte. Il cappello è completamente pieno di carangidi che, con fulminei guizzi, cacciano i piccoli pesci di barriera che cercano rifugio negli anfratti del reef. Da un approssimativo sguardo mi rendo conto che sarà la più bella immersione di questa settimana. Sul pavimento della secca si muovono, facendo si che appaiano come un enorme tappeto semovente color indaco, enormi gruppi di pesci balestra di pochi mesi ed anch’essi presi di mira dai potenti carangidi. Spostandosi in gruppo disorientano i predatori, è una tecnica diffusa fra i pesci.
Mi ricordo del consueto discorso della guida maldiviana, “ fai un po’ quel che vuoi ” e ne approfitto.
Mentre il gruppo è sul cappello della secca con qualche stordito che non compensa, io mi fiondo a trentacinque metri alla ricerca di qualche squaletto da filmare. Ne trovo un paio e, fra essi, un pinna bianca appoggiato sul fondo, semiaddormentato, controcorrente, con la bocca aperta. Sorrido pensando al mio amico Federico Colombo, che portando un gruppo di snorkelisti a Ras Kusba in Egitto, scendeva in apnea afferrando la coda ai pinna bianca in questa posizione per fare bella figura di fronte al gruppo. Un paio di grotte molto interessanti si aprono alla mia destra: sono pienissime di vita! Parto alla volonterosa ricerca di un frog-fish marrone descritto nel briefing, l’unica parte a cui ho prestato attenzione, ma non appare e penso di meritarmelo. Una murena spunta dalla sua tana e, con la bocca aperta, pompa acqua a tutto andare. Mi avvicino così tanto da poterla toccare con la lente grandangolare della macchina da presa, poi punto una tartaruga che dorme sul reef, tonni in caccia, che come saette piombano sui gruppi di piccoli lutianidi azzurri e carangidi.
Insomma, un’immersione veramente bella, che è durata, però, ben cinquantotto minuti, così che mi tocca nascondere il computer sul quale risultano tre minuti di decompressione, qui vietatissimi! Il mare in superficie è veramente arrabbiato e la visibilità in superficie ridottissima, con forti raffiche di vento. Io, il capitano ed il maldiviano sembriamo essere gli unici a capire che sarà durissima, considerando anche che le batterie del GPS sono scariche, per la legge di Murphy … Il resto della barca ride, tra cui il tedesco muscoloso rincoglionito, e non capisce niente. Non si vedono le isole per avere un riferimento e l’onda è bella formata, ma nemmeno l’istruttrice francese si preoccupa e continua a scherzare allegramente con i clienti e, forse, è meglio così.
Con calma glaciale e professionalità, lo staff a bordo comunica ai clienti che la seconda immersione, dove programmata, è difficile farla perché non riuscirebbero a beccare il punto della secca e consigliano a tutti di rientrare all’isola per non arrivare tardi per pranzo. Per tutti è ok, per forza, ed il bravissimo capitano, un po’ di intuito, un po’ la bussola ed una buona dose di fortuna, ci permettono di portare a termine il piano.
Becchiamo l’isola di un soffio e se l’avessimo mancata, come stava per accadere, sarebbero stati problemi seri, dato che è la più a sud dell’atollo di Ari. Scendiamo dal dhoni e stringo la mano al capitano esclamando:
«Good Captain!»
Lui, torvo, mi risponde: «Tanks God!»
Sciacquo l’attrezzatura e saluto tutti. E’ stata l’ultima immersione e sono triste.Rientro al ristorante per pranzo dove, eccezionalmente, mi permettono di sedermi allo stesso tavolo del ragazzo tedesco candidato dell’esame e che normalmente mangia nel tavolo in fianco al mio, solo, come me. Porto con me una chiavetta USB con i filmati degli squali balena che ho ripreso ad un francese, che me li ha chiesti in barca e che scopro vivere a Monginevro, a cinque chilometri da Sestriere, dove passo tutto l’inverno. Mi rendo anche conto che la telecamera non è così pietosa come pensavo dato che, appena inserita la chiavetta nel suo Mac da tremila euro, appaiono i filmati perfetti e con grande definizione. Certo , serve una torcia video decente, magari la rimedio all’aeroporto di Male in uscita, sfruttando i prezzi competitivi del duty-free. Decido di nuotare un po’ prima di cena, approfittando del mare mosso per esercitarmi un po’ con le tecniche di navigazione.
Nuoto un’ora fra corrente forte, onde e visibilità ridottissima. Dopo un po’ prendo il ritmo e faccio un percorso a triangolo fra le boe che delimitano la zona balneabile e la spiaggia. Stimo che siano approssimativamente seicento metri e, piano-piano, riesco a navigare tranquillamente sfruttando in modo corretto il moto ondoso e la corrente sui vari lati del percorso: fantastico! Esco dopo un’ora e, mentre mi asciugo, noto un cartello che non avevo mai visto sulla spiaggia e che recita: “Vietato assoluto di nuotare a causa del monsone”.
La sera Sandi mi invita al ristorante Thai dell’isola, molto bello e dove fanno shark feeding dalla terrazza. E’ situato in fondo ad un lunghissimo pontile che porta alle stanze più care e belle del villaggio, quelle a palafitta. Il ristorante è curatissimo, come tutto in quest’isola, ma tristemente vuoto. I prezzi di tutti gli extra sono spaventosi ed i clienti, che già riempiono il villaggio per il trenta per cento, ne stanno alla larga. La cena è piacevole e ottima, mi ingozzo di gamberi piccanti al curry e poi mi avvio al bar per una birretta, spargendo ancora una volta il panico fra lo staff alberghiero all’atto del pagamento. Al primo sorso inizio a sudare come un pazzo, inondando la Moleskine sulla quale sto riportando gli ultimi dettagli della giornata. Perché l’ho fatto? Finisco di bere e mi sposto sul pontile adiacente, pieno di rumore e profumo del mare. Che paradiso! Il cielo, per la prima volta, è stellato e magnifico.
25/05/2009 – Sun-Island, Maldive – Male – MPX
Faccio colazione con Sendi, discutendo di come poter preparare meglio i candidati Istruttori. Mi piace proprio Sendi, è intelligente, ultra gentile, sempre sorridente e molto umile, soprattutto considerando che ha preparato alcuni fra i migliori candidati che abbia mai esaminato. Vado a saldare i conti e, con lui al mio fianco, tutto diventa semplice e mi sembra incredibile, dopo una settimana d’inferno! Alle 10:45 mi imbarco su un idrovolante che parte in perfetto orario. Le isole viste dall’alto sono un vero spettacolo e scatto decine di foto. Giunto all’aeroporto internazionale acquisto il posto in uscita di sicurezza a trentacinque euro, buttando via i soldi, dato che il volo risulterà mezzo vuoto ed addirittura cambierò posto per una più comoda sistemazione a bordo. Partiamo e mi immergo nei ricordi di questa intensa settimana, momenti che non dimenticherò mai!
Decido di riportare i miei appunti sul PC e mentre guardo lo schermo nero in attesa che si illumini intravedo i miei occhi: sembrano più bianchi e meno contornati da occhiaie …