Oggi affronto con paura la mia prima giornata full-day di freeride. Fortunatamente riesco a legarmi a Paolo, che aprirà il gruppo che io chiuderò, in modo da poter imparare qualche linea di discesa nuova.
Incontro Mary:
” I’m Yme , your guide for today!” le dico.
Mi tende la mano una donna di mezza età, che mi spiega subito che è terrorizzata dalla continua sequela di incidenti mortali da valanga che riempiono le cronache di questo periodo. Poi aggiunge, in un inglese con un marcato accento londinese: “Non sono affatto una buona sciatrice e qualche anno fa ho fatto un terribile incidente in macchina in Turchia e ho dovuto subire diversi interventi al viso per i tre anni successivi. Da allora do un certo valore alla mia vita!”
“Fantastico, ottima premessa” mi dico.
Il marito, invece, è sorridente e desideroso di fare amicizia e di aprire una fantastica giornata di freeride a Verbier. Facciamo una bella coda di almeno mezz’ora all’impianto di partenza di Medran a Verbier, durante la quale chiacchiero cercando di fare conoscenza con questa simpatica coppia, i cui tre figli sciano nel Kids Academy della nostra scuola.
In cima all’impianto mi ritrovo con Paolo ed i suoi due clienti, anche loro inglesi, di cui uno che vive a Los Angeles ed é proprietario di un app per telefonini. Partiamo per raggiungere La Chaux a 200 all’ora, senza nemmeno curarci dei clienti. Quando ci prenotano una giornata di freeride non ci si sente al lavoro fino a che non si esce di pista.
Paolo si volta ed esclama allegramente:
“Facciamo una discesa in pista di riscaldamento”. Parte, tirando una riga dritta fino alla fine della pista. Parto anch’io, con il telefono incastrato nel casco, e faccio più o meno la stessa cosa, ma in più parlo, riparando il microfono dall’aria senza i guanti, che sono al riparo nella giacca, il casco è slacciato ed il laccetto svolazza.
Arrivati al fondo pista, aspetto cinque minuti e, quando arriva, Mary mi guarda ed esclama:
“Bella discesa di riscaldamento! Non scenderemo così anche in neve fresca, vero?”
Capisco di non aver considerato bene la cosa e rispondo prontamente:
“Dai Mary, stavamo solo scherzando!” Lei sorride, toglie gli sci e siamo pronti per prendere la funivia “Jumbo”, che ci porterà ai 2900 metri del Col du Gentianes, da dove partirà la nostra escursione.
Paolo ci fa notare, da buon italiano, che se entriamo per ultimi nella cabina, saremo i primi ad uscire. Quindi attendiamo che la massa entri affannandosi ed occupando gli spazi liberi.
Strano notare che, nonostante ci sia un numero prestabilito di persone che possono salire, sempre identico, nella mente del gruppo si instaura una rigida lotta per il mantenimento dello spazio vitale e, puntualmente, si levano frasi già sentite: “E’ pieno! Prendete la prossima! Mi schiacciate la bambina!”
Il macchinista, abituato, ci spinge dentro senza tanti complimenti fra le proteste inutili dei presenti, e chiude le porte.
Capisco di non aver considerato bene la cosa e rispondo prontamente:
“Dai Mary, stavamo solo scherzando!” Lei sorride, toglie gli sci e siamo pronti per prendere la funivia “Jumbo”, che ci porterà ai 2900 metri del Col du Gentianes, da dove partirà la nostra escursione.
Paolo ci fa notare, da buon italiano, che se entriamo per ultimi nella cabina, saremo i primi ad uscire. Quindi attendiamo che la massa entri affannandosi ed occupando gli spazi liberi.
Strano notare che, nonostante ci sia un numero prestabilito di persone che possono salire, sempre identico, nella mente del gruppo si instaura una rigida lotta per il mantenimento dello spazio vitale e, puntualmente, si levano frasi già sentite: “E’ pieno! Prendete la prossima! Mi schiacciate la bambina!”
In un attimo siamo in cima e, una volta messi gli sci ai piedi, mi incarico di fare il “cancelletto ARVA”, cioè di controllare che tutti i dispositivi di sicurezza contro il seppellimento in valanga funzionino. Faccio scorrere ad un metro da me i partecipanti uno per uno con il loro ARVA in trasmissione e verifico che il mio apparecchio in ricezione li rilevi.
Tutto è ok e la giornata è splendida, quindi Paolo decide di aprire il gruppo prendendo un taglio sull’estrema sinistra della pista fino ad una biforcazione, dove ci fermiamo e ci togliamo gli sci.
“Bisogna camminare un po’” dice, fra i commenti sconsolati dei componenti del gruppo, mentre guardano increduli il versante, che presenta un’ inclinazione del 35-40% e che porta ad una sella distante circa cinquecento metri.
“Collegate gli sci allo zaino, spogliatevi il più possibile, fissate il casco da qualche parte e mettete i piedi soltanto dove li metterò io.” Dopo un attimo aggiungo: “Non voltatevi mai, e dico mai, indietro!” Mary mi guarda allibita e mi chiede se sto delirando.
“Non ti avevo detto che volevo fare una cosa semplice?!”
“Tranquilla, lo è! L’altro versante è piuttosto facile, questa è la parte più impegnativa” esclamo sorridendo. Non mi sembra granché convinta, ma il marito è già pronto, tutto eccitato, quindi partiamo.
Il ritmo é cadenzato e lento ed ogni quattro passi imponiamo al gruppo due lente inspirazioni. L’altezza di circa tremila metri si fa sentire e alla fine ci mettiamo più dei previsti quaranta minuti. In cima ci riposiamo, verifichiamo l’attrezzatura ancora una volta e facciamo un paio di foto, studiando la linea ideale per la discesa.
Il versante del ghiacciaio Des Luettes Encondue è rivolto a nord-est e, nonostante sia già tracciato, la neve dovrebbe essere buona.
Collego la maniglia al mio zaino airbag e partiamo.
Un lungo taglio in orizzontale e poi inizia la discesa, fino al lago del ghiacciaio soprastante. Le prime curve sono un po’ difficili per tutti, mentre cerchiamo di comprendere le strane sensazioni che la neve ci rimanda sotto i piedi, poi tutti prendono il ritmo ed iniziano a fidarsi, godendosi una discesa che pochi sciatori fanno nella loro vita.
Siamo nel pieno delle vacanze invernali, con le piste che scoppiano di gente, ma intorno a noi non c’è nessuno, siamo soli con l’immensità di questi picchi d’alta montagna meravigliosi.
La discesa prosegue con parecchie soste, per ammirare il panorama e per riprendere fiato.
Man mano che sciamo verso la parte bassa del ghiacciaio, tutti appaiono meno preoccupati e più coinvolti dall’esperienza unica che che stanno vivendo.
Giunti al lago, prendiamo una stradina a destra di quest’ultimo e poi ci rituffiamo nella seconda discesa, che ci porterà fino al tratto finale che si collega con la strada fino all’impianto Tortin.
Anche qui la neve è meravigliosa e soffice e tutti siamo felici dell’esito della discesa
chiamata “Starway to Heaven”.
eri ero venuto qui da solo, con l’intento di verificare le condizioni, ma, sbagliando, mi sono
ritrovato in una variante ben più impegnativa: uno stretto canale, con punti a più del 40% di inclinazione che si chiama “The Higway”. Paolo, in serata, mi aveva chiesto stupito: “Ma veramente sei andato da solo?”
“Non l’ho fatto di proposito – ho risposto – ma la neve era eccezionale!”, convincendolo così a fare questo tragitto oggi.
Altra pausa. Iniziamo ad affrontare la stradina piena di gobbe che ci porterà al tratto finale. Queste stradine, come d’altronde l’ingresso dei canali più impegnativi, sono spesso i punti più difficili. Tre giorni fa, nell’intento di non distruggere gli sci sulla cresta rocciosa che mi portava al Canalone Creblet che sovrasta Verbier, ho imprudentemente tolto gli sci: mi sono reso conto immediatamente che stavo rischiando grosso. Scivolare da queste parti può essere fatale, quindi ho abbracciato una roccia ed ho impiegato mezz’ora a rimettermi piano piano gli sci, perché perderne uno può esser anche peggio.
Ci fermiamo ogni quaranta minuti per permettere a tutti di mantenere il proprio ritmo e concludiamo la discesa prendendo velocità fino alla partenza dell’impianto di risalita. Ci abbiamo messo circa tre ore e siamo tutti veramente soddisfatti!
Loro potranno dire agli amici di aver fatto qualcosa che pochi sciatori normali fanno e noi potremo goderci la mancia per aver fatto vivere ai nostri clienti un’ esperienza unica!
Guardo Paolo, che sorride felice, e capiamo entrambi quanto siamo fortunati a fare questo lavoro.
Il gruppo si separa. Io proseguo con il marito di Mary, Paolo va a pranzo con i suoi due clienti e Mary va a prendere i figli che finiscono la lezione di sci.
Allontanandomi con Ian, guardo la sella che si staglia sulla mia destra, notando che ci sono poche tracce e che c’è ancora ombra. Anche se l’esposizione non è ottimale, il manto nevoso dovrebbe essere buono. Lo propongo a Ian che, entusiasta, esclama: “Per me va benissimo!”
Sciamo in pista fino a Siviez e prendiamo la nuovissima telecabina per Nendaz. È talmente nuova che ha l’odore tipico delle macchine appena acquistate e collega in modo ottimale Verbier con questa parte del comprensorio, che è sempre stata un po’ penalizzata, anche se magnifica.
Raggiunta la sella ci togliamo gli sci e ci avviamo sulla cima Pra Fleuri. Anche qui il cammino é cadenzato e volutamente lento. Questa volta, dato che la risalita non presenta pericoli e non é particolarmente esposta, non attacchiamo gli sci allo zaino, ma risaliamo portandoli in spalla, facendo molta più fatica.
Allungo le gambe ed aumento la pressione sugli sci, che affondano inizialmente, fino a creare una piattaforma di neve compressa sotto la loro soletta, che fa si che riemergano in superficie grazie alla rotazione di entrambi i piedi, permettendomi di curvare. É un movimento ritmico fine e difficile che, una volta imparato, dà sensazioni di piacere uniche e fa sì che non si ritorni mai più a sciare in pista.
Raggiungiamo il bosco, che ci vede impegnati in rapidi cambi saltati di direzione su un terreno molto ripido, e raggiungiamo la pista, che ci porta ad un tapee indiano trasformato in bivacco, dove mangiamo di gusto un tagliere di salumi e formaggi locali.
Che giornata! Ian è felice e continua a fare foto, dicendomi che oggi ha vissuto una delle più belle giornate della sua vita. Chiacchieriamo del più e del meno e lui inizia a raccontarmi un po’ della sua vita. Vive a Londra dove lavora come manager di una ditta farmaceutica. Dopo diversi anni nella marina militare ha perso il lavoro e per lui sono stati attimi di terrore: aveva una famiglia da mantenere ed una certa età ed il suo reinserimento nel mondo del lavoro non era affatto scontato.
È rimasto calmo e si é iscritto ad un corso di fotografia, che gli ha dato delle gran belle soddisfazioni.
Il momento più critico della sua vita era giunto dal nulla, ma contemporaneamente gli si è presentata questa nuova opportunità, che, intuita in anticipo, gli avrebbe permesso di godere di più del suo tempo libero, che avrebbe potuto trascorrere scattando fotografie. “Quando meno te lo aspetti, il cielo si apre e trovi qualcuno che ti dà una mano” dice.
“Vero … ” penso.
“Io sono sempre stato fortunato e so esattamente a cosa ti riferisci!” aggiungo.
Ci beviamo un caffè e Ian comincia a domandarmi come vedo la situazione italiana. Ogni volta che tocco questo argomento con uno straniero, mi rendo conto che all’estero molte cose che riguardano il nostro Paese non sono assolutamente comprese ed anche ora questa impressione non viene smentita. Cercano, giustamente, di capire qualcosa che appare completamente diverso rispetto al loro modo di vivere, con l’approccio culturale proprio.
D’altronde, come posso spiegare perché per tanti anni abbiamo consegnato il paese a Berlusconi? Come posso spiegare che siamo il Paese con meno senso civico d’Europa, nonostante le nostre truppe all’estero siano note per uno stile esattamente opposto?
“Strano – rifletto – ci odiamo solo fra Italiani? Forse è più facile detestare ciò che conosciamo bene, ci fa sentire meno in colpa. Forse non è neppure di odio che stiamo parlando, ma di semplice e terribile indifferenza nei confronti del nostro vicino che soffre. Perché siamo così? Cosa ci ha reso così incivili? Infondo abbiamo fatto la storia del mondo!”
Rispondo con sufficienza che la situazione è dura, che la disoccupazione è alle stelle e che paghiamo troppe tasse.
Ian capisce che non ho voglia di addentrarmi in un argomento così imbarazzante, ma non riesce ad esimersi dal dire: “Forse perché non le pagate tutti!” Già .. Probabilmente è così, ma credo che ogni italiano sia convinto che, se anche
tutti avessimo pagato, non sarebbe cambiato nulla, se non il conto in banca di chi gestisce il potere.
Caffè espresso orrendo e via, verso il Col de la Muche, un tracciato rivolto completamente a nord con neve splendida, piuttosto inclinato ed impegnativo. Si raggiunge con un pericoloso taglio trasversale dalla cabinovia del Tortin che, visto dall’alto, fa sempre impressione.
Quando partiamo mi assicuro che gli ARVA siano in funzione e che il mio zaino Airbag abbia la maniglia, che aziona il dispositivo di gonfiaggio rapido, inserita. Questo zaino relativamente nuovo permette il galleggiamento in caso si venga travolti da una valanga e, si dice, aiuti molto a salvare la vita dei malcapitati.
Non solo permette di avere la testa fuori dalla neve, ma aiuta la localizzazione e protegge la schiena da traumi. Mi sento molto più a mio agio indossandolo, ma rifletto sul fatto che, sciando praticamente tutti i giorni fuoripista, potrebbe anche dare un falso senso di sicurezza.
Il taglio è spaventoso e vien voglia di guardare altrove piuttosto che sul versante sopra la propria testa: dovesse staccarsi, avrebbe le dimensioni di un intera montagna e non lascerebbe scampo.
Vado veloce, assorbendo con le gambe le numerose gobbe e cercando di passare dall’altra parte quanto prima. Con la coda dell’occhio osservo Ian che, probabilmente, pensa la stessa cosa.
Quando arriviamo sulla cresta che divide i due valloni tiriamo un sospiro di sollievo, ci fermiamo e osserviamo la discesa, discutendo per un attimo su quale sia la migliore “linea” da scegliere.
Anche qui la neve é bellissima e la discesa finale dura troppo poco! A metà del percorso ci fermiamo per guardarci intorno e vediamo due aquile che, imperiose, volteggiano nel cielo.
Osservo l’orologio e faccio cenno ad Ian che dobbiamo muoverci, perchè alle 15,30 è prevista l’ultima risalita con l’impianto Tortin che ci riporterà nel comprensorio di Verbier.
Continuiamo nella parte bassa e piena di gobbe del tracciato rischiando anche un po’: non
vogliamo dover ricorrere ad un’ ora di taxi, che in Svizzera ci potrebbe costare caro! Arriviamo appena in tempo per l’ultima risalita stanchi, ma felici per la fantastica giornata passata insieme. Arrivati in cima alla sella che ci permetterà di ritornare a Verbier gli tendo la mano, ma Ian la rifiuta e mi abbraccia. Incredibile come certe emozioni possano legare per sempre!